Il piano del premier: esportare in Africa il patto con la Turchia

by Carlo Lania, il manifesto | 16 Aprile 2016 9:39

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Intensificare le operazioni di contrasto dei barconi intervenendo direttamente nelle acque territoriali libiche e allo stesso tempo stipulare accordi con i paesi di origine e di transito dei migranti per impedire nuovi sbarchi lungo le nostre coste. Si basa su questi due punti la strategia italiana di contrasto all’immigrazione sulla quale palazzo Chigi preme per avere l’appoggio dell’Unione europea e riassunta in una lettera inviata ieri dal premier Matteo Renzi ai presidenti della Commissione e del Consiglio europeo, Jean Claude Juncker e Donald Tusk.

Per quanto riguarda la Libia novità potrebbero arrivare in tempi brevissimi, forse fin dai primi giorni della prossima settimana, dopo il vertice dei ministri degli Esteri e della Difesa che si terrà lunedì a Lussemburgo, e avranno come protagoniste le navi della missione europea Sophia. Finora le unità che operano sotto la guida dell’ammiraglio Enrico Credendino fermano i barconi carichi di migranti solo una volta che questi sono entrati in acque internazionali. In futuro l’intervento di contrasto potrebbe svolgersi più a ridosso delle coste libiche, come ha spiegato ieri Federica Mogherini. «Proporrò ai ministro degli Esteri e della Difesa europei di estendere alle acque territoriali libiche la missione», ha detto l’alta rappresentante della politica estera dell’Ue, aggiungendo di aver già affrontato la questione con il leader libico Faiez Al Serraj.

Le parole della Mogherini rappresentano di fatto l’avvio della cosiddetta fase 2-Bravo della missione Eunavfor-Med, quella che consente di intercettare i barconi direttamente in acque libiche ma solo in seguito a una specifica richiesta da parte del governo di Tripoli. Cosa che potrebbe avvenire già lunedì, visto che Serraj parteciperà telefonicamente al vertice di Lussemburgo.

A rendere più concreta questa ipotesi, c’è anche una bozza di documento messa a punto a Bruxelles proprio in vista del summit dei ministri degli Esteri e della Difesa. Nel testo si ipotizza la possibilità per l’Unione europea di intervenire fornendo al governo libico di unità nazionale personale da impiegare «nel settore della sicurezza». Ovviamente non si sta parlando di soldati (lo stesso Serraj, intervenendo ieri all’Organizzazione della conferenza islamica in corso a Istanbul, ha escluso un intervento militare straniero) bensì di addestratori da utilizzare nella riorganizzazione almeno delle forze di polizia. Per quanto riguarda la missione europea per ora non si parlerebbe di un passaggio alla terza fase, che prevede la distruzione dei barconi direttamente nei porti libici.

Ma se la Libia rappresenta l’emergenza più immediata, palazzo Chigi punta a coinvolgere direttamente i paesi africani di origine e di transito dei migranti nel tentativo di bloccare i flussi. L’idea, sostenuta nei giorni scorsi anche dal ministro degli Interni tedesco Thomas De Maiziere, è in pratica di esportare il modello di accordo siglato tra Ue e Turchia anche all’Africa, proseguendo così l’opera di esternalizzazione delle frontiere europee.

Quello che Matteo Renzi propone all’Europa è quindi di avviare trattati bilaterali con i paesi del Corno d’Africa e del Nord Africa offrendo un sostegno economico. I soldi per finanziare l’operazione dovrebbero arrivare dal budget europeo ma anche dall’emissione di Eurobond. Anche se nella lettera alle istituzioni europee non si spiega, è chiaro che l’impegno dei paesi africani dovrebbe consistere nell’allestimento di campi all’interno dei quali trattenere i migranti e dove per poter eventualmente selezionare quanti potrebbero avere diritto all’asilo in Europa. Esattamente come avviene oggi con la Turchia.

Non si tratta di un’idea nuova. Già lo scorso novembre, in un vertice a Malta tra Ue e Unione africana, i leader europei tentarono la stessa operazione con la creazione di un Trust Fund di 1,8 miliardi di euro da destinare a quei paesi che accettavano di collaborare nell’impedire le partenze verso l’Europa. Erano previste anche missioni di funzionari africani in Europa per verificare e identificare la nazionalità dei migranti irregolari da rimpatriare. L’accordo poi non ebbe seguito, sia perché come al solito al momento di versare la propria quota per il fondo molti stati europei si sono tirati indietro, sia perché più di uno Stato africano sollevò dubbi proprio sulle riammissioni. Ora Renzi, e con lui l’Europa, ci riprovano, ma non è detto che questa volta il risultato potrà essere diverso.

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