Io, senza odio dopo il bataclan

by Stefano Montefiori, Corriere della Sera | 27 Aprile 2016 11:20

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Cinque mesi dopo, Antoine Leiris dice che sta riuscendo nell’impresa di resistere all’odio. «Da novembre certe cose sono cambiate, Melvil è cresciuto e anche io con lui. Per qualche tempo ci siamo molto protetti, adesso vogliamo aprirci un po’ di più al mondo. Quanto al titolo della lettera su Facebook e del libro, mi trovo nelle stesse condizioni di spirito di allora: non voglio dare ai terroristi la soddisfazione di trasformare me e mio figlio. Non voglio cedere all’odio. Le nostre vite sono e restano piene dell’amore per Hélène, che non è più con noi».

Antoine Leiris non è affatto una persona innamorata delle belle parole e dei buoni sentimenti, non si perde nelle frasi stucchevoli e tanto meno evoca un impossibile perdono. Il suo rifiuto di lasciarsi guidare dall’odio non deriva da attrazione per il bel gesto, e il suo libro lo spiega bene: semplicemente, i terroristi non possono diventare il punto della questione. Tutto quel che lo interessa sono Hélène, e Melvil. «Avrebbe potuto essere un automobilista che dimentica di frenare, un tumore un po’ più maligno degli altri o una bomba nucleare, la sola cosa che conta è che lei non c’è più. Le armi, le pallottole, la violenza, non sono che lo sfondo della scena: quel che importa è l’assenza».

Il 16 novembre 2015 il 34enne giornalista di Radio France torna a casa dopo avere visto la moglie per l’ultima volta, senza vita, all’istituto medico-legale. Hélène è rimasta uccisa nell’attacco al Bataclan, Antoine deve affrontare la nuova vita a due con il figlio Melvil, che allora ha 17 mesi.

«Mi metto a scrivere al computer perché ho delle cose dentro, voglio salvarle da qualche parte e magari condividerle con le persone che conosco. Fino a quel momento ho parlato con gli amici per dire che Hélène è morta ma non ho avuto il tempo di dire come sto. È stato un po’ naif da parte mia affidare i miei pensieri a Facebook, ma il cervello era occupato da molte altre cose. Scrivere è stata una necessità più che una terapia».

In quella ormai celebre lettera ai terroristi, Antoine scrive «siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo ragazzino vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio».

Le parole di Antoine sono state lette, commentate, amate in tutto il mondo. Se lo aspettava? «No, per niente, l’idea che le mie frasi avrebbero commosso tante persone non mi ha neanche sfiorato. In una situazione simile non c’è spazio per le previsioni, non ho calcolato l’effetto delle mie parole, avevo solo bisogno di tirarle fuori». Nei giorni successivi sconosciuti del mondo intero si sono offerti per tenere compagnia a Melvil, padre e figlio sono stati invitati a passare vacanze ai quattro angoli del Pianeta, altri sconosciuti hanno spedito al neonato calzini, cappellini, regali e assegni che il padre non ha mai incassato, le mamme dell’asilo si sono organizzate per preparare a Melvil vasetti e pappine piene di amore materno, «che lui lanciava contro il muro perché preferiva i cibi industriali ai quali l’avevamo abituato», dice sorridendo Antoine. Il padre ha continuato a scrivere, la storia raccontata nel libro si ferma al 25 novembre, quando Antoine accompagna Melvil al cimitero di Montmartre e depone sulla tomba una foto della mamma, per fare capire al bambino dove lei si trova, adesso.

Non avrete il mio odio è un racconto intimo, privato, la dimensione politica è quasi inesistente, «se non sotto forma di resistenza», dice Leiris, che alcuni hanno voluto giudicare come il tipico esempio di occidentale arrendevole e buonista. Ma è un’interpretazione fuori luogo. «Non dico che dobbiamo lasciare tranquilli i terroristi, ovviamente. La mia è una resistenza individuale con le armi che ho a disposizione. Avete cercato di mettermi in ginocchio ma non ce la farete, né per me né per mio figlio».

Antoine fugge come la peste gli psicologi che si aggirano per l’ospedale, pronti ad aiutare i parenti delle vittime. «Avevo paura che rubassero il mio dolore e il mio amore, ormai una cosa sola. Volevo restare con Hélène. Non volevo parole prefabbricate, frasi che chiunque avrebbe potuto dire a chiunque».

Il bellissimo libro di Antoine Leiris — che finora non aveva mai trovato il coraggio di scrivere «perché ho troppo rispetto per la sacralità della letteratura» — è un viaggio nel lutto, nel tentativo di preservare dai terroristi, dalle bombe e dal mondo intero una bolla fatta di casa, vestiti, profumi e sorrisi di Antoine, Melvil e Hélène.

Stefano Montefiori

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