Il lungo addio a Pannella nel jazz della bella piazza

by Andrea Colombo, il manifesto | 22 Maggio 2016 9:38

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È quando la Jazz Band di Carletto Loffredo attacca Hello Dolly e prosegue con Volare fino all’immancabile When the Saints Go Marching In che avverti la differenza tra la cerimonia laica, ma pur sempre di partito, che da piazza Navona saluta Marco Pannella e qualsiasi altra manifestazione partitica ci sia o ci possa essere. Perché, caso più unico che raro, qui la musica non suona stonata, fuori posto. Ormai il suo pezzo rock non se lo nega nessuno, persino Renzi violenta People Have the Power come jingle per la sua riforma. Il risultato è sempre desolante. Stavolta no. Stavolta i suoni che nella classica second line del corteo funebre accompagnavano il feretro a New Orleans ci stanno tutti. Perché possono essere simpatici o risultare insopportabili, ma è un fatto che i radicali sono e sono sempre stati diversi da qualsiasi partito. Possono permettersi gli ottoni trionfali della Crescent City senza apparire ridicoli.

Un po’ stona, invece, il discorso con cui Emma Bonino apre la celebrazione, sotto la grande foto di Pannella sorridente dietro la scritta «A subito», dopo il Requiem di Mozart e i filmati d’epoca che riassumono una vita instancabile. Quelli che commuovono più di ogni discorso chi quella voce se la ricorda, in questa stessa piazza, in un maggio di 42 anni fa, la sera della vittoria nel referendum sul divorzio. Emma Bonino invita a votare radicale, e non è elegantissimo. Non lo fa, neppure alla lontana, Roberto Giachetti il candidato, e la cosa torna a suo merito. L’ex ministra degli esteri si scaglia contro «alcuni omaggi postumi» che «puzzano d’ipocrisia lontano un miglio». Un po’ ha ragione, figurarsi, anzi un bel po’, ma tra la sua stessa gente c’è chi mormora «Però lei non lo è andato a trovare nemmeno una volta».

Non è il momento migliore del lungo pomeriggio dell’addio, però passa subito e non lascia tracce. Perché il clima, pur nella tristezza e per molti nel dolore, qualcosa di festoso ce l’ha davvero. Forse per la percezione, mai chiara come nel momento della scomparsa, che Marco Pannella se va da vincitore assoluto, col merito di aver contribuito come pochissimi a cambiare non questa o quella legge, ma la mentalità, la cultura diffusa, il modo di guardare il mondo, le diversità e i diritti nel suo Paese.

Gli stessi radicali, si direbbe, sono stati colti di sorpresa, stupiti per primi da un riconoscimento corale che rivela all’improvviso quanto profonda, e feconda, sia stata l’azione politica del loro leader. La definizione più incisiva e precisa del suo ruolo la dispensa un ex radicale che in tutta evidenza non si sente «ex», Francesco Rutelli, citando Hannah Arendt: «Fare politica significa iniziare qualcosa. Marco ha iniziato e poi continuato».

Non c’è il retropalco, in questo «funerale laico», quell’area recintata, affollata di vip e giornalisti in caccia di dichiarazioni, che riesce a fare nomenklatura anche nelle manifestazioni che dovrebbero essere più popolari, ed è un altro segno distintivo della diversità dei radicali. I politici e le facce note sono davvero mischiate con tutti quelli arrivati per salutare Pannella. Qualcuno sale sul palco per dire due parole, moltissimi evitano. Qualche presenza inattesa c’è: Maurizio Gasparri, per esempio, che di battaglie con Pannella non deve averne condivisa neanche una, ma è arrivato per omaggio e rispetto, non per ipocrisia e Marianna Madia, che pure di campagne radicali deve averne apprezzate pochine. Lei non sale sul palco. Il collega guardasigilli Orlando sì, e ammette francamente: «Vengo da una cultura politica che guardava i radicali con diffidenza perché non capivamo il senso delle loro provocazioni. Ma non so se le cose che abbiamo fatto sul carcere le avremmo mai fatte senza due persone: Marco e il papa».

Perso nella folla è anche Clemente Mimum, che negli ultimi giorni di vita di Pannella si era incaricato di scovare per il malato cibi tanto appetitosi da vincere la sua crescente inappetenza. Non parla, non ce la fa, però fa leggere un suo comunicato che è quasi l’omaggio più commosso. Quasi. Quella palma spetta a Gianfranco Spadaccia, 63 anni di militanza in comune con Giacinto, e anche di litigi, tanto che persino adesso, sul palco, quasi ingaggia un confronto ribollente con la buonanima, sui temi che avevano animato l’ultimo Pannella, soprattutto la campagna mai davvero decollata sul «diritto alla conoscenza». Poi piange, si interrompe, riparte, s’infervora ancora.

Anche questo è uno spaccato sulla realtà del Partito radicale, che non è mai stato e non sarà un’associazione celestiale di educande, e anche se ha sempre avuto un padre padrone è stato e sarà anche una famiglia, politica e non solo, dove si è litigato di brutto. Però mai per le questioni che lacerano tutte le altre formazioni politiche nessuna esclusa, mai per faccende di poltrone o di clientela.

Dal palco Rita Bernardini e Sergio D’Elia annunciano la fila di interventi, incluso quello di un detenuto di Rebibbia che ha ottenuto un permesso apposta per venire a salutare e ringraziare a nome di tutti i carcerati, per i quali Pannella si è speso per decenni. L’amnistia però non è riuscito a ottenerla e non ci riuscirà, per ora, neppure da morto, perché una cosa è rendere omaggio, anche sinceramente, tutt’altra trovare il coraggio di sfidare la peggior opinione pubblica. Anche se proprio quello, a volte, dovrebbe essere il compito di chi decide di fare politica nella vita.
I funerali di Marco Pannella si concludono così, nella sua piazza. La tumulazione invece arriverà nella sua città Teramo, Abruzzo, dove sarà sepolto oggi pomeriggio. Perché Pannella, come ricorda Benedetto Della Vedova, un altro radicale che non sarà mai «ex» era anche questo: un mulo abruzzese.

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