Kenya, il governo annuncia la chiusura del campo profughi più grande del mondo

by Rita Plantera, il manifesto | 31 Maggio 2016 10:26

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Poche settimane fa il governo del Kenya ha chiuso il Department of Refugee Affairs (Dra), un apparato che forniva servizi amministrativi di importanza vitale per rifugiati e i richiedenti asilo, e ha annunciato la chiusura del campo profughi di Dadaab perché – come ha sostenuto il ministro dell’Interno – il campo rappresenta solo un aggravio economico e un «terreno fertile» per il terrorismo, vale a dire per il gruppo islamista Al-Shabaab che, secondo il ministero, lo userebbe come base dei suoi attacchi.

Tra i servizi forniti dal Dra rientrava l’emissione dei pass di transito grazie ai quali, per esempio, chi abita una delle migliaia di tende a Dadaab può recarsi all’ospedale di Nairobi quando questo rappresenta l’unica chance di sopravvivenza. Di fatto chiudendo il Dra e chiudendolo prima del campo profughi il governo kenyano sta contribuendo a creare una situazione di illegalità e di insicurezza che espone gli abitanti di Dadaab, per esempio, ad arresti arbitrari da parte della polizia (non essendo più possibile per i profughi richiedere al dipartimento – adibito a ciò ma ormai chiuso – il permesso di transito fuori dalle aree designate).

Dadaab è il più grande campo profughi del mondo, si trova nel Kenya nord-orientale e ospita circa 360 mila rifugiati per il 95% somali: donne, uomini e bambini. Era stato costruito dall’Unhcr inizialmente per ospitare 90 mila persone, tra l’ottobre 1991 e il giugno 1992. Una cifra destinata già dall’inizio e moltiplicarsi se non altro perché in quelle tende (che costituiscono in concreto una sorta di grosso agglomerato urbano, una città ma non di mattoni), dopo più di vent’anni è cresciuta più di una generazione.

Non è la prima volta che il Kenya si impegna in tali proclami di smantellamento dei campi profughi e tutte le volte adducendo le stesse ragioni: sicurezza, vale a dire la minaccia sempre incombente degli Al-Shabaab di cui sospetta infiltrazioni a Dadaab (il campo profughi dista un’ora di macchina da Garissa, teatro un anno fa di un attacco terroristico all’University College, 148 le vittime) e i costi, troppo alti. Motivazioni che però non convincono pienamente.

Quanto agli aggravi economici addotti a motivo di chiusura del campo, non pare che pesino tutti sul governo locale. A maggio 2015, il segretario di stato americano John Kerry in visita a Nairobi ha promesso 45 milioni di dollari in aiuti all’agenzia dell’Onu che si occupa dell’accoglienza nei campi profughi del Kenya di quanti fuggono dalla Somalia e dal Sud Sudan.

Per il resto, come ha sostenuto il ministro degli affari esteri della Somalia, «l’espulsione di rifugiati somali vulnerabili in un momento in cui la Somalia sta facendo progressi riconosciuti a livello internazionale verso la stabilità e lo sviluppo istituzionale, non farà che aumentare il rischio di insicurezza nella regione». E ha aggiunto: «Questa decisione influenzerà negativamente la maggior parte dei rifugiati somali… e renderà la minaccia del terrorismo peggiore». Come a dire, espellere i rifugiati somali da Dadaab significa spingerli tra le fila dei gruppi terroristici, che per chi non ha nulla da perdere e non può immaginare nessun futuro né nel proprio Paese né altrove, rappresentano un porto sicuro.

Le ong impegnate in progetti di assistenza alle popolazioni di Dadaab hanno rivolto un appello al governo del Kenya affinché vengano riconsiderati i piani di chiusura di Dadaab e Kakuma. La loro attuazione, spiegano, significherebbe intanto la violazione del principio generale di rimpatrio volontario dei rifugiati – si tratterebbe infatti di un rimpatrio forzato in opposizione alla normativa internazionale vigente – che vivono in Kenya nei loro Paesi di origine.

In più, Paesi come la Somalia e il Sud Sudan soffrono situazioni di crisi umanitaria, di insicurezza e il ritorno forzato dei profughi non farebbe altro che esacerbare una situazione che ha già creato flussi migratori verso i Paesi limitrofi e conta non pochi sfollati interni: «Una chiusura improvvisa dei due campi (Dadaab e Kakuma, ndr) significherebbe una catastrofe umanitaria per la regione dato che Paesi limitrofi in particolare l’Uganda, la Tanzania e l’Etiopia si stanno già facendo carico di enormi popolazioni di rifugiati. Le leggi sui rifugiati e sul regime di asilo sono sotto attacco e soprattutto in Europa. Il Kenya non dovrebbe seguire questa strada, ma invece continuare ad accogliere i rifugiati ottenendo molto più sostegno a farlo da parte della comunità internazionale».

D’altro canto, continuano le organizzazioni per i diritti, «la comunità internazionale dovrebbe espandere le sue quote di reinsediamento per i rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, al fine di completare le strategie di rimpatrio e integrazione, nonché condividere l’onere dell’accoglienza dei rifugiati».

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