Siria, Iraq, Libia: i tre fronti aperti dove il Califfato sta perdendo terreno

by Marta Serafini, Corriere della Sera | 31 Maggio 2016 9:18

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Tre fronti aperti dall’Iraq alla Siria passando per la Libia. Campi di battaglia su cui lo Stato Islamico perde terreno. Il più caldo in queste ore è Falluja, oltre 60 chilometri a ovest dalla capitale Bagdad. «La bandiera irachena sventolerà di nuovo sulla città», aveva promesso una settimana fa il premier Haydar al-Abadi annunciando l’operazione Breaking Terrorism. Ieri mattina all’alba le forze speciali irachene e le milizie sciite, con la copertura area della coalizione internazionale, hanno sfondato in tre punti. Ma gli uomini di Al Baghdadi — che proprio a Falluja è stato avvistato nel febbraio del 2016 — non hanno mollato la presa. La città sunnita, sotto il controllo dell’Isis dal gennaio 2014, è allo stremo, con oltre 50 mila abitanti intrappolati senza cibo e acqua. «Usano i civili come scudi umani», è il timore confermato dal colonnello Steve Warren. A complicare l’avanzata su Fallujah anche altri fattori. Se da un lato Isis risponde alle difficoltà militari con le autobombe (a Bagdad ieri i morti sono stati 24), si temono anche le vendette dei miliziani sciiti sulla popolazione sunnita.

E se a Falluja infuria la battaglia, il fronte di Mosul pare più statico. Qui i peshmerga (5 mila secondo le cifre ufficiali) hanno riconquistato quattro villaggi a sud est della città. La strada per arrivare al bastione dell’Isis non è facile, tra i campi minati. «Siamo a venticinque chilometri», ha dichiarato ieri Zervana Dilshad Mowlod, portavoce delle forze curde.

Dall’Iraq alla Siria, dove la via per arrivare a Raqqa, la «capitale» del Califfato, è ancora più lunga. Qui le Syrian democratic forces (Sdf) e le Unità per la Protezione del popolo curdo (Ypg) sembrano puntare su Tabqa, 50 chilometri più a ovest, per tagliare la via dei rifornimenti. Ma anche l’avanzata curda nasconde non pochi problemi. «Gli Usa stanno entrando in una fase pericolosa per il futuro della Siria», è stato l’avvertimento di Ankara che, per bocca del ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu, ha ribadito di non vedere di buon occhio l’appoggio di Washington al nemico curdo.

Tra l’Iraq e la Siria, Isis soffre anche in Libia. Paradossalmente lo scenario meno complesso sembra essere Sirte. Forze del governo di unità nazionale hanno sequestrato 37 chili d’oro, nascosti in un edificio di Abu Najim, villaggio che i soldati sotto il comando di Tripoli sono riusciti a riconquistare dall’Isis. «I jihadisti si sono ritirati a 30 chilometri a ovest di Sirte», sono state le dichiarazioni delle forze di sicurezza. «Stanno preparando i gommoni per scappare», avrebbe aggiunto il portavoce delle milizie di Misurata Mohammed al Ghasri ad Al Jazeera .

Ma anche su questo campo di battaglia, è la popolazione a pagare il prezzo più alto. Dai villaggi a sud di Sirte arrivano appelli disperati. I miliziani hanno obbligato tutti uscire di casa e hanno piazzato cecchini sui tetti delle case. Una strategia che è il marchio di fabbrica di Isis: scudi umani per assicurarsi la fuga.

Marta Serafini

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