I 14 «impresentabili» nascosti nelle liste civiche
ROMA Il tempo in cui le liste civiche erano sinonimo di buona politica sembra lontano anni luce da palazzo San Macuto, dove la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, scandisce il suo allarme in diretta streaming : «Perché quasi tutti i comuni sciolti per mafia, hanno solo liste civiche? Qualcosa vuol dire».
Il catalogo è questo. Morlupo e Sant’Oreste, alle porte di Roma. Badolato, Joppolo, Ricardi, San Luca, San Sostene e Platì, in Calabria. Trentola Dicenta e Villa di Briano, in provincia di Caserta. Qui alle amministrative non ci sono simboli delle forze politiche tradizionali. Cosa vuol dire? «Che i partiti nazionali — spiega la Bindi — si sono nascosti in liste civiche condizionate da poteri mafiosi, che cementano l’infiltrazione attraverso il trasformismo».
Se dunque è una buona notizia non trovare nella relazione fiume dell’Antimafia, approvata all’unanimità, alcun «impresentabile» schierato da un partito, è invece una notizia pessima scoprire che la criminalità è sempre più abile a infiltrare la politica, assumendo fattezze camaleontiche. La commissione ha potuto radiografare solo i curricula di 3.200 candidati di municipi sciolti per mafia. E, alla luce della legge Severino e del codice di autoregolamentazione dell’Antimafia, ha scoperto che non ci sono «impresentabili» del calibro di Enzo De Luca, sul cui nome nella lista nera lo scorso anno scoppiò una polemica furibonda.
Gli incandidabili o ineleggibili sono 14, sette dei quali nelle civiche di Battipaglia. A Roma l’Antimafia segnala la zona grigia del VI municipio, 360 mila abitanti e «il numero più alto di soggetti agli arresti domiciliari». Ecco allora spuntare a pagina 154 le otto condanne definitive di Antonio Carone (Viva l’Italia con Tiziana Meloni), la detenzione illegale di armi di Domenico Schioppa (Iorio sindaco) e le condanne in primo grado per tentata estorsione di due candidati di «Storace-Marchini sindaco», Antonio Giugliano e Fernando Vendetti. La presidente Bindi ritiene «estremamente positivo» che, dopo Mafia Capitale, non ci siano «impresentabili» in corsa per il Campidoglio, anche se Mattia Marchetti (Lega Centro con Giovanni Salvini) ha qualche grana giudiziaria per detenzione di armi e tentata estorsione. E non è finita, purtroppo. A Scalea Carmelo Bagnato è incandidabile e Alessandro Codispoti rischia la sospensione in base alla Severino. A Villa di Briano infine, dove «il 30 per cento dei candidati appare meritevole di attenta valutazione», un aspirante consigliere fu trovato nottetempo dalle forze dell’ordine a casa della moglie di Giuseppe Setola, boss del clan dei Casalesi in carcere per la strage di Castelvolturno.
«Una fedina penale pulita non è una patente di onestà morale», avverte Claudio Fava. «I certificati non bastano — insiste Bindi — i partiti non devono mettere nelle liste gli incensurati che hanno parentele e frequentazioni con famiglie mafiose». È un appello alla responsabilità delle forze politiche, perché tengano alta la guardia e, nel selezionare la classe dirigente, «ci mettano la faccia invece di lasciare il territorio in mano ai ricatti».
Se davvero vuole battere la mafia, la politica deve fare la sua parte. «La Severino ha bisogno di un tagliando», raccomanda la Bindi. E così la legge elettorale. Perché se le commissioni elettorali avessero più tempo per vagliare i curricula, gli «impresentabili» potrebbero essere stoppati in tempo. E il Pd sembra aver imparato la (dura) lezione di Mafia Capitale. Lorenzo Guerini annuncia un repulisti dei 6000 circoli: «Quelli che sono solo un elenco di iscritti in mano a capicorrente, saranno chiusi» .
Monica Guerzoni
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