Sussidio per tutti: e la Svizzera vota

by Federico Fubini, Corriere della Sera | 5 Giugno 2016 11:23

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John Maynard Keynes, che non ha mai proposto un reddito minimo garantito, quasi 90 anni fa aveva già previsto il clima psicologico di questi mesi. La Svizzera oggi tiene un referendum per assicurare un sussidio di Stato a tutti i cittadini elvetici, qualunque sia la loro condizione sociale, il livello d’istruzione, il reddito o il patrimonio.

Non che sia un’idea nuovissima, almeno nella pura teoria: la avanzò in un libello del 1797 Thomas Paine, filosofo idealista della rivoluzione americana. Ma è stato Keynes a raccontare meglio di chiunque altri dove sarebbe stata la parte ricca d’Europa oggi. In un saggio del 1930, l’economista di Cambridge previde che la crescita nei Paesi avanzati avrebbe moltiplicato il reddito per otto nell’arco di un secolo. La parte sbagliata della profezia di Keynes era giusto l’altra, quella in cui immaginava che a quel punto avremmo potuto lavorare per non più di tre ore al giorno.

In fondo però non era così sbagliato. Soprattutto, Keynes non era lontano dal clima attuale quando scriveva che con lo sviluppo dell’industria «il problema economico avrebbe potuto essere risolto». Parlava, a ben vedere, di qualcosa di simile a quanto dovranno scegliere gli svizzeri oggi nelle urne: la possibilità che una nazione europea divenga così ricca da permettere a tutti gli abitanti di lavorare molto meno, oppure permettere ad alcuni di non lavorare affatto; in ogni caso il reddito prodotto dall’economia sarebbe bastato anche per loro.

Senza che nessuno sembri accorgersene, il dibattito elvetico di questi giorni sta tornando sui temi di Keynes. I sondaggi più recenti in Svizzera segnalano ad esempio che molti elettori continuano a covare profondi dubbi sull’influenza (secondo loro) diseducativa di un reddito minimo universale. Quasi nessuno dubita di se stesso, ma molti sembrano farlo sul conto dei propri concittadini. In un sondaggio, per esempio, solo il 2% degli elettori pensa che una vittoria del reddito minimo lo indurrebbe a lavorare di meno; al contrario, un terzo degli elvetici teme che la garanzia di un sussidio dello Stato indurrebbe il resto della popolazione a diventare molto più pigra, improduttiva e priva di un’etica del lavoro.

Keynes aveva previsto questo dilemma delle società opulente, che oggi potrebbe finire per favorire nelle urne il fronte dei contrari. «Se il problema economico viene risolto — scrisse — l’umanità si troverà privata del suo obiettivo tradizionale. Penso con terrore al riaggiustamento delle abitudini e degli istinti dell’uomo comune, costruito per innumerevoli generazioni». Per lui i primi segni di ciò che sarebbe potuto accadere in un popolo ricco senza dover lavorare erano nello stato di «esaurimento nervoso» delle «signore benestanti negli Stati Uniti e in Inghilterra».

Eppure Keynes credeva che un uso del tempo diverso dal lavoro fosse possibile. E il governo finlandese, così come venti municipalità olandesi, sono con lui. Questa primavera, Helsinki ha lanciato un progetto pilota che garantisce a 10 mila cittadini un reddito minimo garantito esentasse da 550 euro al mese indipendentemente dalla condizione economica, sociale e familiare. In Olanda, la città di Utrecht e altre 19 municipalità minori stanno facendo lo stesso con un sussidio di 600 euro al mese. Sono tentativi che verranno rigorosamente esaminati da squadre di economisti già costituite. L’obiettivo è capire che questo assegno riesce a strappare da un circolo vizioso i poveri dipendenti dal welfare: oggi spesso rinunciano a un posto di lavoro, o lo abbandonano, per non perdere una serie di sussidi che li gratificano di più. È anche con questi obiettivi che anche l’americano James Tobin, all’inizio degli anni ‘70, propose un reddito minimo negli Stati Uniti. Il futuro premio Nobel pensava in realtà, fra l’altro, a un sostegno per il lavoro non pagato delle donne in casa.

Comunque vadano questi esperimenti, l’Italia resta lontana. Qui la profezia di Keynes sulla moltiplicazione del reddito è stata prima avverata e poi negata dalla doppia recessione. Il governatore Ignazio Visco ha fatto i conti e ha capito subito che pagare 500 euro al mese di reddito di cittadinanza significa alzare le tasse del 20% del Pil. Cose da esaurimento nervoso, e non nel senso di Keynes.

Federico Fubini

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