Sekine ammazzato tra le baracche

Sekine ammazzato tra le baracche

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A Rosarno i migranti sono morti che camminano. Ma a Rosarno si cammina anche sui morti che vengono dall’Africa. Da ieri, ma non solo da ieri. Sekine Traorè è il quinto cadavere in questo girone dantesco dei dannati della piana gioiese. Aveva 27 anni, era del Mali. Viveva ammassato nella tendopoli di San Ferdinando.

Dalla buia uscita per Rosarno dell’A3, a qualche chilometro, la tendopoli non puoi non vederla. Basta percorrere la bretella che conduce al porto e incontri decine e decine di raccoglitori che, a piedi, qualcuno su una bici scassata e senza catarifrangenti, raggiunge le tante lugubri tende dove sono ammucchiati come bestie. Ieri mattina alle 7 Sekine va in escandescenza, si dice che abbia problemi psichici. Comincia a buttare a terra ogni cosa, inveisce contro i suoi compagni. A un tratto, impugna un coltello da cucina, lo brandisce. Qualcuno dei suoi amici cerca di frenare l’ira del maliano, ma è ferito a una mano. Sekine fruga nelle borse dei suoi amici, cerca di prender denaro e sigarette, forse tenta una fuga. Uno di loro chiama i carabinieri.

Questo è l’antefatto di un giorno di ordinaria disperazione a Rosarno. Arrivano due carabinieri. Uno di loro è l’appuntato Angelo Catalano. I militari cercano di parlare con Traorè, lo rassicurano per riportarlo alla calma. L’uomo però continua a brandire il coltello, colpisce più volte le pareti della tenda, cerca di fare altrettanto con chiunque cerchi di avvicinarsi. Sul posto giunge, intanto, un’altra pattuglia dei carabinieri e una della polizia. Ma Traorè non si calma. L’uomo lancia delle pietre, si avventa contro Antonino Catalano e lo ferisce con il coltello al volto, all’altezza dell’occhio destro.

Sekine viene allontanato con la forza. Poco dopo ricompare. Allora si scaglia contro il militare già ferito al viso che a quel punto estrae la pistola d’ordinanza, spara un colpo che raggiunge Traore all’addome. Disperata e vana la corsa all’ospedale di Reggio. L’uomo muore poco dopo. Quella ripercorsa è la versione fornita dall’Arma. Con troppe ombre ancora da chiarire. In un primo tempo si era parlato anche di «colpo partito accidentalmente», negando così a priori la legittima difesa. Ma qualche ora dopo la versione cambia. Perché il procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, ora pare non aver dubbi: «Il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare», iscritto nel registro degli indagati come atto dovuto. Tuttavia sono molte le cose a non quadrare. È Antonino Celi, attivista antirazzista di Rosarno, a riferirle al manifesto.

Dalle testimonianze dei migranti presenti sul posto emergerebbero, infatti, buchi neri e salti temporali. «I ragazzi ci hanno raccontato che i militari accorsi non erano due bensì sei. Avrebbero cercato di arrestare Sekine, per il ferimento del suo compagno di tenda, ma lui avrebbe opposto resistenza aggredendo e ferendo uno dei militari. Che potrebbe non essere necessariamente colui che poco dopo ha ha colpito a morte il maliano. E il ferimento sarebbe avvenuto «per una pietra e non con una lama» rivela Celi. Cosa non di poco conto ai fini della scriminante della legittima difesa. E Sekine non era «matto» come cercano di dipingerlo. «La notte prima giocava tranquillamente a carte con altri immigrati. Mi hanno raccontato che era benvoluto specie tra i bimbi che ora piangono un loro amico», sottolinea Celi.

Insomma, Sekine era pienamente integrato nella comunità migrante, non era nè un ladruncolo, nè un disadattato, nè un alcolizzato E la storia del furto dei soldi sarebbe solo una montatura. «Ha reagito al tentativo di arresto, scalciava, ma non era certo un rambo. Questo è quello che abbiamo riscontrato da chi lo conosceva e da chi era presente». E allora perché non sparare in aria oppure a terra per dissuaderlo? Perchè mirare all’addome? Sono questi gli interrogativi a cui gli investigatori al lavoro dovranno dare una risposta. «Magari avvalendosi delle molte telecamere di sorveglianza presenti nel campo», aggiunge Celi.

A Rosarno questo morto non è il primo e non sarà l’ultimo. «Fino a quando le politiche migratorie saranno di puro contenimento e non d’accoglienza i morti dobbiamo metterli in conto. Qui i migranti sono crepati per assideramento, perchè investiti da un auto, dopo aver subito pestaggi. Se ne è parlato ma poi è calato il silenzio. Lo scenario continua ad essere agghiacciante», ci spiega Arturo Lavorato, della Cooperativa sociale Mani e Terra che negli ultimi mesi ha raccolto l’eredità dell’associazione Sos Rosarno, consolidandone l’esperienza all’insegna di giustizia sociale e sostenibilità ambientale.

A sera, la situazione al campo è tranquilla. I 400 ospiti sono scioccati. Sono arrivati i Medici per i diritti umani, gli encomiabili volontari del Medu, a confortarli. Fa capolino Don Roberto Meduri, il parroco di contrada Bosco, dopo aver accompagnato i testimoni in caserma per riferire. Ma c’è tanto scoramento in mezzo a loro. Tra odori nauseabondi, sporcizia dappertutto, tende con fori grandi così e coperti con fogli di cartone. Ieri è morto ammazzato uno di loro. «I carabinieri noi li chiamiamo quando succede qualcosa ma se poi il casino aumenta a che serve?», dicono rassegnati.



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