Quella solidarietà europea infranta da Merkel-Sarkozy all’inizio dell’onda populista

Quella solidarietà europea infranta da Merkel-Sarkozy all’inizio dell’onda populista

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BRUXELLES IL TRAMONTO autunnale, sulla lunga passeggiata a mare di Deauville, è da mozzare il fiato. Angela Merkel e Nicholas Sarkozy si fanno ritrarre dai fotografi mentre camminano fianco a fianco: sorridenti e complici, i cappotti sbottonati per approfittare degli ultimi tepori di stagione. È lunedì 18 ottobre 2010 e da questa località balneare della Normandia la coppia franco-tedesca sta per scatenare, forse senza neppure rendersene conto, la peggior tempesta finanziaria che si sia mai abbattuta sull’Europa.

La dichiarazione di Deauville segna il punto in cui la crisi dei debiti sovrani, che si è abbattuta sull’Europa già dal 2008, si trasforma in un attacco convergente dei mercati mondiali contro la capacità di tenuta dell’euro. «Merkel e Sarkozy pensavano di poter governare la situazione in due — ricorda ora Mario Monti — Quello fu il momento più alto dell’egemonia franco-tedesca in Europa. Invece innescarono una turbativa dei mercati che sarà ricomposta solo dal summit del giugno 2012, dopo che l’elezione di Hollande aveva messo fine al binomio esclusivo tra il presidente francese e la cancelliera tedesca ».

L’incontro Merkel-Sarkozy avviene in un momento critico, ma non ancora drammatico. Ungheria, Romania e Lituania hanno già dovuto fare appello a prestiti internazionali per salvare le finanze pubbliche. Ma sono fuori dall’euro. Tra i Paesi della moneta unica, soltanto la Grecia è ricorsa a un prestito europeo. Tuttavia è chiaro che la situazione non può che peggiorare e che l’unione monetaria non ha gli strumenti normativi per fronteggiarla. Merkel vuole evitare che la catena dei salvataggi si allunghi troppo. Pretende sanzioni più dure per i governi che non rispettano il Patto di stabilità. Chiede una riforma dei Trattati che indurisca le regole della disciplina di bilancio. E soprattutto non vuole sobbarcarsi l’onere del salvataggio finanziario di Atene. Sarkozy prova ad ammorbidire le posizioni più dure della Cancelliera. Ma alla fine, come sempre, cede praticamente su tutta la linea.

Al termine della passeggiata di Dauville, Merkel e Sarkozy diramano un comunicato in cui chiedono la creazione di un sistema permanente di gestione delle crisi debitorie. Ma il comunicato, in sè abbastanza generico, contiene una formuletta destinata a cambiare la storia: « private sector involvement ». I mercati gli affibbieranno l’acronimo “Psi” e ne faranno la bandiera sotto cui andare all’assalto dell’euro. Nel meccanismo di salvataggio, dice l’asse franco-tedesco, deve essere coinvolto «anche il settore privato». In altre parole, se un Paese si trova in stato di insolvenza, chi detiene i suoi titoli di stato dovrà pagarne le conseguenze subendo un taglio del loro valore nominale.

La dichiarazione di Deauville rompe un tabù non detto e nemmeno scritto: per la prima volta viene apertamente evocata la possibilità che un Paese dell’area euro possa fare bancarotta. E che questa bancarotta possa essere pagata da chi ne detiene i titoli di debito. Fino ad allora, anche se i Trattati non lo prevedevano, l’eurozona era stata percepita come un «unicum» inscindibile. Con quelle tre parolette, « private sector involvement », Merkel e Sarzozy la trasformano in una sommatoria di responsabilità, e dunque di vulnerabilità, nazionali. Il messaggio, disastroso, che arriva ai mercati finanziari è duplice. Da una parte, chi detiene titoli di Paesi fortemente indebitati è avvertito che potrà essere chiamato a pagare il prezzo di una possibile insolvenza, e dunque viene indirettamente invitato a disfarsene. Dall’altra, agli occhi dei grandi fondi speculativi, l’euro viene presentato come una cipolla, che può essere sfogliata strato dopo strato, Paese dopo Paese, debito pubblico dopo debito pubblico, fino a smontarla completamente. Di colpo, far parte della zona euro non è più una garanzia ma un accresciuto fattore di rischio.

«L’idea di non fare dell’Europa il pagatore di ultima istanza poteva anche essere giusta — commenta Monti — Ma la Merkel sbagliava pensando che obbligare governi a mettere i conti in ordine bastasse a far cessare la speculazione». La scommessa dei mercati, ormai, non era più sulla tenuta di un singolo Paese ma su quella complessiva della moneta unica.

Le conseguenze di quell’errore non si fanno attendere. L’attacco si focalizza, come è naturale, contro gli anelli più deboli. A novembre 2010, poco più di un mese dopo Deauville, l’Irlanda deve chiedere l’intervento del Fondo europeo.

A maggio 2011 è il Portogallo a dover ricorrere all’aiuto dei partner. Intanto gli interessi sui titoli italiani e spagnoli vanno alle stelle. A luglio 2011 lo spread tra Bund e Btp sfiora i 400 punti. A novembre tocca quota 574 e Berlusconi deve cedere la guida del governo a Monti. Nel frattempo l’Europa è sprofondata nel baratro del rigore e della recessione. La troika detta le sue regole draconiane ai Paesi sotto assistenza europea. I mercati impongono agli altri, con l’arma dello spread, un risanamento dei conti a tappe forzate che non fa che aggravare la recessione economica. La sfiducia e l’ostilità tra le “formiche” del Nord e le “cicale” del Sud è alle stelle.

Sarà Mario Draghi, nominato presidente della Bce nel maggio 2011, a cercare di ricucire lo strappo di Deauville proponendo per la prima volta un fiscal compact, un contratto che vincoli i governi a una disciplina di bilancio sotto sorveglianza europea come strumento per ricostruire la coesione politica della zona euro. Merkel, che comincia a capire la portata dell’errore compiuto a Deauville, si adegua. Sarkozy esce di scena. Nel marzo 2012 viene firmato il Trattato del fiscal compact.

Nel giugno 2012, mentre anche la Spagna è costretta a ricorrere ai prestiti europei, Mario Monti e François Hollande, in un vertice europeo in cui l’Italia agita la minaccia del veto, costringono la Germania ad accettare l’idea di un «meccanismo anti- spread» che ripristini in qualche modo la solidarietà della zona euro. Forte di questa copertura politica, meno di un mese dopo, a luglio, Draghi pronuncia il famoso « whatever it takes » schierando la Bce a difesa della moneta unica. Lo strumento prescelto, e mai utilizzato, saranno le Omt, Outright monetary transactions, un programma lanciato il 6 settembre 2012, con cui la Bce si impegna ad acquistare illimitatamente i titoli di stato di Paesi sotto attacco speculativo, a condizione che questi siano impegnati a risanare i conti pubblici. La speculazione batte in ritirata. Gli spread tornano a scendere. L’euro è salvo. Ma le ferite inflitte al principio di solidarietà europea in quei ventidue mesi e mezzo che vanno dal 18 ottobre 2010 al 6 settembre 2012 sono ancora aperte, e ancora infette. E il populismo che oggi dilaga in tutta Europa è, in larga misura, la febbre di quell’infezione.



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