“Era la ragazza dei diritti umani lottava per un mondo migliore”

“Era la ragazza dei diritti umani lottava per un mondo migliore”

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LEEDS Ci sono agenti con il dito sul grilletto, fuori dall’ospedale, ma non servono più a nulla. Dentro il Leeds Infirmary Hospital, Brendan Cox fa circolare il primo epitaffio di sua moglie: «Jo era una donna che credeva in un mondo migliore e lottava per questo scopo ogni giorno. Ora vorrebbe una sola cosa: che lottassimo tutti uniti contro l’odio che l’ha uccisa. Perché l’odio non ha credo, razza o religione. L’odio è velenoso».

Estirpare veleno era il suo mestiere: prima come attivista dei diritti umani con organizzazioni come Oxfam e Save the Children, poi dallo scorso anno come deputata del Labour alla camera dei Comuni, occupandosi di rifugiati siriani, votando per fare accogliere 3mila piccoli profughi nel Regno Unito. Cosa significhi l’allusione di suo marito all’odio, lo spiegherà nei prossimi giorni la polizia: Tommy Mair, l’inglese bianco di mezza età agli arresti per l’omicidio, ha gridato “Britain first” mentre le sparava e l’accoltellava, ma il partitino xenofobo che risponde a quella sigla prende le distanze dall’attacco. «Le armi sono state recuperate addosso all’imputato, non cerchiamo altri sospetti», dice il commissario capo Dee Collins. Più che un lupo solitario, l’assassino ha l’aria di un pazzo solitario.
A Birstall, mezz’ora d’auto dall’ospedale, cordoni di plastica isolano l’ingresso di “Delicious”, il luogo del delitto, aun caffè affacciato su Market street. In questo tranquillo sobborgo di Leeds: all’una del pomeriggio è pieno di gente che fa shopping e colazione. Anche Jo Cox si accinge a uno spuntino, dopo l’incontro con gli elettori nella vicina biblioteca pubblica, parte della sua campagna in favore di “Remain”, per far rimanere la Gran Bretagna nella Ue: «Gli immigrati sono un problema », dice cercando di rassicurare una comunità in declino economico, «tuttavia non sono una buona ragione per uscire dall’Europa». Non arriverà mai al suo lunch: sulla porta del bar, l’aspetta un uomo con un berretto da baseball bianco. «Ho sentito pop-pop, come un palloncino che scoppia», racconta Clarke Rothwell, il proprietario, «e ho visto questo tizio sulla cinquantina con una pistola in mano che sparava a una donna con una giacchetta rossa: una volta, due volte, e quando lei è crollata a terra le è andato sopra e le ha sparato un terzo colpo in faccia. Un uomo gli si è buttato addosso, lui si è divincolato, ha tirato fuori un coltello e ha cominciato a menare colpi anche con quello sulla poveretta, almeno mezza dozzina di coltellate».
Un passante, Hitem Ben Abdallah, fornisce una versione diversa: l’assassino avrebbe avuto un alterco con qualcun altro, la deputata sarebbe intervenuta per dividerli e a quel punto sono risuonati gli spari. «Continuava a tirarle calci come un ossesso, mentre lei era a terra», ricorda Abdallah. «Tutti gridavano e scappavano, nella confusione il tizio si è allontanato lentamente, indisturbato», conclude il padrone del caffè.
Non fugge troppo lontano, l’aggressore: due poliziotti lo fermano 15 minuti più tardi in una viuzza laterale, ammanettandolo a faccia in giù sull’asfalto. Lo portano alla centrale, dove viene identificato e interrogato. Per raccogliere indizi sul movente agenti della scientifica entrano nella sua abitazione a Field Hall, council house di Birstall, gli alloggi popolari per i poveri. «Sembrava una persona per bene, viveva solo, era silenzioso, badava ai fatti suoi», testimonia un vicino di casa.
Il sito di un giornale trova e pubblica una sua foto in uniforme mimetica: forse un dettaglio insignificante, forse la prova dell’ideologia militarista. Comunque il ritratto di un emarginato: terreno perfetto per xenofobia, odio e follia. Ma se nessuno al momento sembra conoscere bene l’assassino, a Leeds tutti conoscevano Jo Cox. La chiamavano «la ragazza dei diritti umani». Prima della classe a scuola, laurea a Cambridge, un lungo servizio nelle organizzazioni umanitarie, una passione condivisa con il marito Brendan. Erano finiti insieme a Londra, consiglieri l’uno del primo ministro Gordon Brown, l’altra della first- lady Sarah Brown («Siamo devastati», commentano l’ex-premier e la moglie). Nella capitale erano nati i due bambini della coppia. E mentre tanti deputati prendono una casa di rappresentanza, Jo quando è entrata in parlamento ha preferito una chiatta: ormeggiata in un canale che sfocia nel Tamigi, nei pressi di Tower Bridge. È l’immagine che il marito posta su Twitter — lei in maglione e pantaloni, sorridente, appoggiata alla casetta galleggiante — quando i chirurghi gli comunicano che non sono riusciti a salvarla, nell’ospedale dove l’ha trasportata un’ambulanza.
«Ha avuto un’esistenza perfetta, meravigliosa», concordano gli amici raccolti in una veglia all’uscita del Leeds Infirmary Hospital. Ma si è conclusa con una morte terribile. «Oggi inizia un nuovo capitolo delle nostre vite», recita l’epitaffio di suo marito, «un capitolo più difficile, più doloroso, meno allegro, meno pieno d’amore, ma io e gli amici di Jo e i suoi familiari non sprecheremo un attimo per far crescere i nostri figli nell’amore e per lottare contro l’odio che ha ucciso Jo».
Quell’odio velenoso che ha fermato la campagna del referendum e diffonde un brivido di orrore nelle strade di Leeds.


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