Il Califfato perde terreno ma la vittoria è lontana Allarme per i kamikaze

by GIANLUCA DI FEO, la Repubblica | 18 Giugno 2016 10:13

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Lo Stato islamico diventerà il Califfato dei deserti? Ormai le truppe del Daesh sono in difficoltà su tutti i fronti. In Iraq è stato riconquistato il centro di Falluja e l’esercito di Bagdad stringe lentamente l’assedio a Mosul. In Siria le colonne di Damasco e i raid russi aprono la strada verso Raqqa mentre l’alleanza tra curdi e partigiani filo- americani sta eliminando le basi sulla frontiera turca, crocevia di traffici e rifornimenti. In Libia il caposaldo di Sirte cede sotto i colpi delle milizie di Tripoli e dell’armata di Tobruk.

Il Califfato vede crollare le risorse economiche, perché il contrabbando di petrolio è stato bloccato. E stenta a far funzionare la macchina militare: secondo i dati della Cia, i soldati con la bandiera nera in Mesopotamia nel 2016 sono diminuiti da 33 mila a meno di 22 mila. Dall’Europa non arrivano più volontari e le nuove reclute asiatiche non bastano per rimpiazzare le perdite.
I risultati in Siria sono legati soprattutto all’impegno di Mosca, che ha ristrutturato le brigate di Damasco e smantella dal cielo ogni postazione nemica, senza preoccuparsi delle vittime civili. Ma pure gli Stati Uniti sono riusciti a costruire reparti efficaci, spingendo curdi e sunniti a collaborare. Gli stormi statunitensi hanno moltiplicato la pressione, attaccando dal Mediterraneo e dal Golfo persico. Forze speciali occidentali vengono segnalate ovunque, dalla Cirenaica all’Eufrate, mentre i curdi iracheni hanno eretto una potente linea difensiva che protegge i loro territori.
Gli analisti però non si fanno illusioni: la vittoria definitiva è ancora lontana. I soldati dell’Is non fuggono, si ritirano. La battaglia di Kobane gli ha insegnato che i centri urbani possono diventare una trappola, esponendo i loro uomini ai bombardamenti. Così adesso fanno tesoro della lezione del Corano: il loro modello è l’Egira, quando i seguaci di Maometto uscirono dalla Mecca alla spicciolata, rifugiandosi nel deserto per poi tornare trionfanti.
Non cercano la resistenza ad oltranza nelle città: lasciano pochi cecchini nascosti nei tunnel. A Ramadi i “liberatori” hanno dovuto radere al suolo interi quartieri per neutralizzarli.
Anche se cadesse Mosul, la capitale irachena di Al-Baghdadi, i miliziani continueranno a combattere. Pochissimi finora si sono arresi. Da gennaio hanno condotto 489 assalti suicidi: nei giorni scorsi si sono spinti persino verso Palmira, abbandonata tre mesi fa. E cercano di accendere nuovi fuochi ovunque, dall’Africa all’Asia, mobilitando kamikaze che seminino terrore in nome del Califfato. Come ha riconosciuto il capo della Cia John Brennan: «Nonostante i successi sul campo, i nostri sforzi non hanno ridotto la capacità terroristica e la portata globale del gruppo». La forza del Daesh rimane sempre la stessa: le divisioni tra i suoi avversari. Ieri i caccia russi hanno bersagliato gli insorti filo-americani; i turchi contrastano i curdi; gli sciiti iracheni litigano tra loro; in Libia non c’è un accordo tra gli schieramenti. Ed è su queste fratture che lo Stato islamico conta per sopravvivere.
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