Il governatore e i costi da tagliare La mossa Bce sui crediti a rischio
Per un governatore della Banca d’Italia la sintassi non è questione di forma. È messaggio. Così quando Ignazio Visco fra i marmi del salone d’onore di Palazzo Koch sceglie un verbo al passivo, è la spia che ciò di cui parla è abbastanza importante da sconsigliare di renderne esplicito il soggetto: la Banca centrale europea. «Sarà valutata l’effettiva situazione delle singole banche e verranno individuate le misure di supervisione più appropriate tenendo conto del contesto in cui esse operano», dice il governatore Visco.
Parole piatte e vaghe in apparenza. Nella platea di banchieri e dignitari dell’establishment finanziario raccolti nel palazzo il ricordo dei crolli di Borsa di gennaio sugli istituti fa ancora male. All’epoca bastò a innescarli la notizia di una «lettera», in realtà un questionario, che la Bce aveva mandato alle banche italiane e nel resto dell’area euro sui crediti a rischio. Pier Carlo Padoan, il ministro dell’Economia, andò persino su tutte le furie perché Francoforte lasciò passare tre giorni – non tre ore – prima di specificare che quella «lettera» non era una stretta. Non era la richiesta alle banche di abbattere ancora di più i propri valori in bilancio sui prestiti destinati a non essere mai rimborsati per intero.
Cos’era quella «lettera» lo si capisce meglio oggi, dopo quella frase di Visco al passivo. Era il primo passo di un processo che ora sta arrivando al punto. Quest’estate la Bce presenterà un rapporto sui crediti a rischio o in default delle banche europee: in proposito, informazioni convergenti arrivano da varie capitali. Non è ancora deciso se la banca centrale nominerà uno per uno gli istituti in una sorta di pagella pubblica, o se quei giudizi resteranno riservati. Se ne sta ancora discutendo a Francoforte. Di certo negli ultimi giorni aveva accennato a un’iniziativa su questo tema Danièle Nouy, la presidente (francese) del consiglio unico di vigilanza a Francoforte. E non si tratterà di una richiesta di abbattere i valori in bilancio, ma il passaggio che si avvicina resta destinato a mettere pressione su banche italiane gravate da quasi 200 miliardi di crediti in default (poco meno di 90 al netto delle risorse accantonate per coprire le perdite).
Agli istituti la Bce chiederà di darsi linee di indirizzo, organizzazione e soprattutto una tabella di marcia per gestire al meglio o vendere quell’eredità della Grande recessione. Non subito, ma non alle calende greche. «I responsabili della vigilanza europea sono consapevoli che la riduzione delle esposizioni deteriorate non potrà che essere graduale», ha sottolineato ieri Visco, stavolta indicando chiaramente il soggetto. Non dovrebbero dunque provenire da Francoforte vincoli a cedere le parti cattive dei bilanci bancari in tempi brevi: sarebbe il modo migliore per costringere gli istituti a svendere, accumulando perdite ancora maggiori, dunque creando ancora più bisogno di capitali freschi.
La Bce però vuole che le banche comincino, e in tempi certi. La richiesta è che si diano piani, manager e mezzi specifici per gestire questi loro problemi. Ma non solo in Italia. Ignazio Visco ieri ha lasciato trasparire che la vigilanza europea eserciterà più attenzione anche sulle grandi banche tedesche: «Ci adoperiamo perché l’azione divenga più incisiva riguardo ad altri rischi sui bilanci bancari», ha detto il governatore, «primi fra tutti quelli legati ad attività in prodotti strutturati». Appena coperto il riferimento del governatore, in primo luogo, a Deutsche Bank. E di certo la Bce oggi sembra più pronta di prima a verificare in proprio il valore reale dei derivati in cui investono alcuni grandi istituti nel Nord Europa.
Non che la posizione di Visco sia comoda. A Francoforte, che ormai ha l’ultima parola sulla vigilanza, gli istituti del Paese sono oggetto di diffidenza aperta e la Banca d’Italia è sospettata di volerli difendere dopo essersi fatta sorprendere da alcuni dei loro problemi. A Sud delle Alpi invece troppi manager bancari di provincia hanno dimostrato di non aver capito che i tempi erano cambiati. Forse è per questo che ieri Visco non ha fatto sconti né all’Unione bancaria europea, né al particolarismo bancario italiano: il governatore trova sleale che si cerchi di prendere la Banca d’Italia fra l’incudine e il martello. Sull’Europa, Visco sottolinea la contraddizione di aver tolto ai Paesi i loro vecchi strumenti nazionali per gestire le crisi finanziarie, senza però aver pronti strumenti europei: per ora il fondo comune di garanzia sui depositi resta bloccato dal veto di Berlino e il fondo di risoluzione di fatto non è operativo. «È una situazione di vulnerabilità», nota il governatore. Quanto alle banche italiane, il messaggio non è meno fermo: per le Popolari deve finire l’epoca di «autoreferenzialità dei vertici, scarsa trasparenza, resistenza al cambiamento». E per tutte è ora di pensare a ridurre i costi, anche chiudendo parte degli attuali 30 mila sportelli, e di puntare su tecnologia e fusioni. A un patto però, che è un programma: aggregazioni fra banche sì, ma solo «secondo logiche strettamente industriali». Non di poltrone, né di clientele.
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