L’Ucraina in guerra contro i giornalisti

Come faccio a sapere ciò che penso, finché non vedo ciò che dico? Il giornalismo è l’arte di fare domande e basterebbe girarne una semplice, questa di Edward Morgan Forster, che già cent’anni fa scriveva i suoi romanzi come fossero reportage, per chiedere conto dell’ultima censura al giornalismo e al buonsenso: come faremo d’ora in poi a raccontare la guerra ucraina se basterà essere andati nelle zone di guerra per passare da spie?
Da un mese è quel che accade a Kiev. Dove un sito web vicino al governo ucraino è entrato nella banca dati del nemico e per tre volte ha hackerato gli elenchi dei 7 mila giornalisti di tutto il mondo che sono andati nelle regioni dell’Est: terre occupate dai russi, che ovviamente richiedono un pass rilasciato dai filorussi. La pubblicazione del sito ha un titolo chiaro: «Canaglie». E ci sono dentro praticamente tutti, testate europee e americane, perché è così che lavora ogni inviato in ogni crisi ed è così anche laggiù: prima ci s’accredita a Kiev per coprire il fronte ucraino poi a Donetsk per seguire i territori occupati dai russi.
Tutti canaglie, dunque, spioni colpevoli d’aver «collaborato coi membri di un’organizzazione terroristica» e passibili d’espulsione dall’Ucraina per i prossimi dieci anni.
Tira una brutta aria per l’informazione, a Kiev. Le superiori ragioni della guerra spingono molti all’autocensura.
L’anno scorso, lo stesso sito web additò un paio di giornalisti che, due giorni dopo, furono trovati uccisi. E ora la pubblicazione delle liste, ripresa su Facebook dal ministro dell’Interno, ha ricevuto subito 3 mila «like», mentre è partita una petizione al presidente Poroshenko per bandire dall’Ucraina tutti i media che «collaborano col terrorismo».
Corsi & ricorsi: ai tempi della rivolta di Maidan, il governo filorusso di Yanukovich stabilì che bastava «diffamare su internet» le autorità per rischiare due-tre anni di galera. La piazza allora si rivoltò e sappiamo come finì: Yanukovich sui poster coi baffetti alla Hitler e, poche settimane dopo, in esilio. Stavolta, no: il nemico da combattere è ancora e solo chi sta con Putin. Il nemico esterno e interno. L’odiato Zar. Che i giornalisti, guarda un po’, li tratta allo stesso modo.
Francesco Battistini
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