Pérez Esquivel sui fronti aperti dell’America Latina

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In Italia per una fitta rete di incontri, conferenze e lezioni, Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel per la Pace nel 1980, ci ha concesso un po’ del suo tempo per descrivere la realtà dell’America Latina.

Partiamo da una domanda un po’ teorica, secondo lei qual è il rapporto tra democrazia e diritti umani?

In principio sono valori indivisibili, se si violano i diritti umani la democrazia si indebolisce fino a non essere più democratica. I diritti umani sono integrali, hanno a che fare con la vita delle persone e dei popoli. Molte democrazie sono considerate tali solo per il fatto di andare al voto, ma sono solo governi autoritari.

Come far doventare più democratica la democrazia in America Latina?

La democrazia non si regala, si costruisce. È il camminare dei popoli per far valere i loro diritti, i loro valori, la loro identità come popolo. In America Latina stiamo cercando di rafforzare le istituzioni democratiche, di consolidare la separazione tra i poteri, per esempio una magistratura indipendente dalla politica. Perché democrazia significa uguaglianza per tutti e tutte, non soltanto per alcuni. Certo, non ci sono democrazie perfette, ogni democrazia può essere migliorata.

Secondo la sua esperienza in Argentina e nel mondo, il modello neoliberista rispetta i diritti umani?

No, non li rispetta. Innanzitutto perché i governi neoliberisti cercano di privilegiare il capitale finanziario al di sopra della vita dei popoli. Esclude due terzi della popolazione del mondo, non si regge sul diritto e l’uguaglianza per tutti, si regge sul potere economico, politico, repressivo. Anche se arrivano al potere attraverso il voto. Per sostenere le politiche neoliberiste hanno bisogno d’imporsi con la forza…

A proposito… Come valuta i primi sei mesi di governo di Mauricio Macri?

In Argentina, l’Osservatorio sociale dell’Università Cattolica registra nei primi 4 mesi di governo un chiaro aumento della povertà, ci sono 1.400.000 più poveri. Cosa ha fatto Macri: ha levato le tasse alle grandi industrie multinazionali che provocano gravi danni all’ambiente, ha tolto le trattenute ai grandi latifondisti della soia e non agli agricoltori. Ha portato avanti una politica di austerità, abbassando la spesa in educazione e salute. Ha portato avanti una politica di licenziamenti, al giorno d’oggi sono 150 mila le persone che hanno perso il lavoro. Allora, di quale democrazia stiamo parlando?

Come si colloca il nuovo governo argentino in America Latina?

Al governo di Macri non interessa l’America Latina. Si vuole avvicinare al trattato del Pacifico, l’alleanza con gli Stati uniti e con l’Unione europea, in un momento in cui, salvo la Francia che ha rifiutato il Ttip, con il trattato di libero commercio tra gli Stati uniti e la Ue si rischia di essere fagocitati dai grandi gruppi monopolistici che limiteranno i diritti dei popoli e la sovranità delle nazioni.

Perché Barack Obama ha deciso di visitare l’Argentina il 24 marzo, il giorno del 40° anniversario del colpo di Stato?

Non è un fatto casuale. Obama è il capo di Stato di una potenza interessata a promuovere le politiche neoliberiste e le alleanze strategiche. Obama da una parte si avvicina a Cuba, anche se non può togliere l’embargo perché non ha la maggioranza nel Congresso, poi, il giorno dopo vola in Argentina. Macri voleva usare Obama per contrastare le grandi manifestazioni previste per l’anniversario del colpo di Stato. Proprio per questo io gli scrivo e gli consiglio pubblicamente di non visitare l’ex Esma (il più grande campo di concentramento della dittatura, ora Museo della memoria) e lui non lo fa. Alcuni media dicono che ha seguito il mio consiglio.

In questa cornice di riallineamento geopolitico del governo argentino, cosa pensa della detenzione di Milagro Sala?

Milagro Sala è una prigioniera politica. Io sono stato con lei, sono stato nella prigione, a Jujuy (nord ovest dell’Argentina, ndr) insieme a due dirigenti sindacali. Abbiamo parlato anche con il governatore di Jujuy Gerardo Morales. In breve, Morales ha voluto togliere di mezzo Milagro Sala, prima hanno detto che le sue proteste erano violente e io so che non erano violente, poi è stata accusata di un insieme di reati, il risultato è che ormai sono più di 100 giorni di carcere senza un reale motivo. Milagro Sala ha un’enorme forza sociale, ha una grande autorevolezza e il nuovo governo ha paura di lei, hanno paura della protesta popolare. Ci sono molte persone con processi aperti ma nessuno è in prigione.

Lei ha generato grande clamore nel parlamento brasiliano quando ha detto che Dilma Rousseff era vittima di un «golpe blando»…

 

Ho parlato meno di un minuto e ho creato uno scandalo. Ho detto che Dilma era vittima di un colpo di Stato blando, istituzionale. Ci sono state altre esperienze analoghe in America Latina: in Honduras quando hanno “dimesso” il presidente Manuel Zelaya, nel 2009. Il meccanismo è usare i media per diffamare i mandatari, di screditarli di fronte al popolo e poi attraverso la complicità di alcuni magistrati, deputati e senatori mandarli a casa. L’altro caso è quello del Paraguay, nel 2012, dove per Fernando Lugo è stato messo in scena un improbabile attacco di una forza rivoluzionaria, in realtà mai esistita. Ora è il turno del Brasile: non avendo Dilma la maggioranza parlamentare, Eduardo Cunha, presidente della Camera, ha promosso l’impeachment, ma poi è stato allontanato dalla magistratura perché coinvolto nello scandalo della corruzione. Molti degli accusatori di Dilma sono a sua volta accusati di corruzione. Ma come è possibile che senatori e deputati corrotti giudichino la presidente che non è corrotta, che non è accusata di corruzione…

Come giudica la situazione in Venezuela?

In Venezuela stanno cercando di applicare lo stesso modello, utilizzare il parlamento per togliere di mezzo Nicolas Maduro: anche qui parlerei di un colpo di Stato blando. Ma nel caso del Venezuela i tentativi sono stati tanti, Chávez è stato vittima di un colpo di Stato nel 2002 organizzato dagli Stati uniti ed è stato il popolo a reinsediarlo. Gli Stati uniti non ammettono che si esca dalla loro orbita di potere, per questo mantiene tutte le basi militari dispiegate nella regione.

Ora non sono più i militari ma i grandi gruppi di potere a promuovere i colpi di Stato?

In Brasile non si tiene conto dei 54 milioni di voti che hanno eletto Dilma, sono stati azzerati, per questo è un colpo di Stato. Scorre molto denaro, si acquistano i voti. Questa è una politica che si sta imponendo su scala globale per un motivo molto semplice: oggi lo Stato non ha più il potere, sono le grandi corporazioni a dirigere gli stati. Si collocano al di sopra del diritto, al di sopra delle istituzioni democratiche.

Come costruire la pace in questo mondo globalizzato in conflitto?

La pace non è l’assenza di conflitto, è una dinamica permanente di trasformazione sociale, politica, culturale, spirituale. Le grandi potenze sono cospirative, sono permanentemente in cospirazione. Credo che i popoli dell’America Latina reagiranno a tutto questo. Se non ci saranno alternative alla povertà, alla marginalità e alla disoccupazione i popoli reagiranno. Il futuro dipenderà dalla loro capacità di risposta.



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