Ankara, viaggio al centro del golpe Vendetta sui militari: 6 mila arresti

Ankara, viaggio al centro del golpe Vendetta sui militari: 6 mila arresti

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Qualche albero abbattuto, aiuole divelte, tracce di cingoli sull’asfalto, marciapiedi sconnessi: sono i segni più evidenti della battaglia che ha infuriato attorno al Parlamento tra venerdì sera e sabato prima dell’alba. L’edificio del Parlamento è inavvicinabile, si può osservare da un paio di centinaia di metri, mostra qualche muro annerito, numerose finestre scardinate con i vetri infranti. Eppure, gli agenti di guardia sono accomodanti, quasi distratti di fronte ai curiosi e i tanti che si scattano i selfie proprio davanti alle transenne. «Quasi non è così neppure in tempi normali. Ovvio che le autorità vogliono mostrare che sono in controllo della situazione, ma lasciano anche vedere i danni causati dai golpisti esattamente nel centro, dove si viene a passeggiare e godere il verde dei giardini sempre ben curati», dice un impiegato dell’ambasciata spagnola, situata vicino al luogo degli scontri, presso quelle italiana, tedesca e americana.

Però questi non sono affatto tempi normali. E tra i viali geometrici di Ankara, i quartieri ordinati, gli incroci razionali, lo avverti immediatamente. L’ombra del colpo di Stato pesa immanente, inquietante. Se a Istanbul lo puoi dimenticare presto tra le moschee storiche, le mura ottomane, la cittadella, la folla immensa che si muove normalmente, come sempre. Ad Ankara la crisi si percepisce nella sua fisicità violenta di fronte agli automezzi della municipalità utilizzati come barricate mobili a bloccare e indirizzare il traffico causando grandi ingorghi. Capita di viaggiare a lungo per strade assolutamente deserte e poi restare prigionieri degli ingorghi. «Qui sta il potere politico e militare. Qui i golpisti hanno colpito più duro», dice un poliziotto mostrando le finestre infrante dei compound del ministero della Difesa. Formazioni di tank sono parcheggiate in aree chiuse. Ogni tanto nelle vie vicine passa un corteo di manifestanti del partito di Erdogan. Con loro ci sono anche i movimenti dell’estrema destra nazionalista e persino i semi-fascisti Lupi Grigi, con le loro bandiere azzurre stampigliate con i caratteri del turco classico, prima che Atatürk imponesse quelli latini e nel 1923 dichiarasse Ankara capitale dello Stato, non a caso al cuore dell’altopiano anatolico.

I danni agli edifici non impediscono comunque allo stato maggiore di mettere in atto le misure investigative e punitive su ordine preciso di Erdogan. Gli arrestati sino all’altra sera sfioravano quota 3 mila, tantissimi militari. Ventiquattro ore dopo il loro numero è come minimo raddoppiato e continua a salire. Ai funerali nelle moschee di Istanbul dei soldati lealisti Erdogan parla della necessità di «purificare gli organi dello Stato dal virus che ha causato il putsch» e di combattere «il cancro con ogni mezzo», sino a indicare come impellente la necessità del ripristino della pena di morte. I suoi fedelissimi ammettono che adesso gli arrestati sfiorano quota 6.100. Tra loro, insospettabili come Ali Yazici, consigliere personale del presidente per gli affari militari. Oppure il comandante della base aerea di Incirlik, da dove operano tanti degli aerei americani e della coalizione loro alleata che bombarda Isis in Siria e Iraq. E sono confermati i nomi «eccellenti» di Adem Huduti e Erdal Ozturk, rispettivamente comandanti della Seconda e Terza armata che operano sul confine siriano, oltre a l’ex capo di stato maggiore Akin Ozturk. Ciò per dire che il dissenso nell’esercito è profondo, radicato. Le retate continuano senza tregua. Almeno 50 cadetti e ufficiali medi sono stati presi ieri dalla base del settore occidentale di Denizli. Pare che alcuni abbiano combattuto con le armi alla mano. Spari anche nell’aeroporto di Sabiha Gokcen, nella zona asiatica di Istanbul, dove i poliziotti lealisti hanno scambiato mitragliate con alcuni soldati che resistevano al fermo. E proseguono le retate di giudici e uomini di legge considerati come nemici dal regime. Pare che gli arrestati o licenziati siano ormai quasi 3 mila. Catturato tra loro Alparslan Altan, noto per la sua difesa dei diritti civili nei maggiori tribunali del Paese.

Col buio Ankara torna deserta. Non si notano posti di blocco particolarmente aggressivi, semplicemente la popolazione teme la ripresa di scontri improvvisi e resta a casa, la situazione è ancora tesa, carica di imprevisti. Sul circuito dei social media locali tanti si chiedono come mai i golpisti non abbiano bombardato il «palazzo dalle mille stanze del Sultano», la nuova residenza presidenziale sulla collina di Bashtepe alle porte della capitale che ha creato attenzione e qualche polemica contro Erdogan per le sue dimensioni gigantesche e il lusso sfrenato. «Sarebbe stato un segnale molto più importante e dalla profonda valenza simbolica che non la scelta di bombardare la sede dei cadetti di polizia», nota qualcuno che evita di firmarsi. Altri replicano che invece qualche bomba è stata sganciata. Noi siamo andati sul posto per verificare. Ma non siamo potuti arrivare esattamente al palazzo, visto che un largo cordone di militari e volontari pattuglia l’intera collina. Tuttavia loro garantiscono che non c’è stato alcun attacco, visto da un centinaio di metri di distanza il complesso appare intatto.

Lorenzo Cremonesi

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