Criminalizzare i poveri significa violare i diritti umani

Criminalizzare i poveri significa violare i diritti umani

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L’Europa è ancora lontana dagli USA, ma il vento di criminalizzazione dei più poveri sta arrivando anche da noi. E sta arrivando rapidamente. Città, regioni, governi stanno emanando norme, penali e amministrative, che limitano o impediscono ai più poveri l’uso dello spazio pubblico, le attività di sopravvivenza, a volte anche l’accesso ai servizi sociali. Una tendenza in aumento in molti degli Stati membri dell’Unione, che nel 2013 ha portato FEANTSA, la rete europea degli organismi che lavorano con e per i senza dimora, a lanciare una campagna contro questa penalizzazione, Poverty is not a crime. A due anni dall’iniziativa, che ha promosso una nuova e costante attenzione e sensibilizzazione sulla realtà delle povertà estreme, Samara Jones, coordinatrice di uno degli osservatori di FEANTSA, Housing Rights Watch, e tra i promotori di Poverty is not a crime, fa il punto attorno a questa nuova tendenza. E lancia un allarme: criminalizzare i poveri porta con sé gravi violazioni dei più basilari diritti umani.

 

Rapporto Diritti Globali: Nel 2013 FEANTSA ha svolto una ricerca e avviato una campagna contro la criminalizzazione della povertà, Poverty is not a crime. Cosa vi ha spinto a fare questa scelta, decisamente nuova nello scenario europeo? E quali sono risultate le situazioni più critiche?

Samara Jones: La decisione di FEANTSA di indagare sulla criminalizzazione della povertà ha avuto origine dal lavoro portato avanti dal National Law Center on Homelessness and Poverty degli Stati Uniti, in modo particolare dal loro studio sulla criminalizzazione degli homeless. FEANTSA ha verificato nella sua rete, composta di oltre 100 membri in 27 Stati dell’Unione Europea, la possibilità di condurre un’analisi simile attorno a ciò che stava accadendo in Europa sotto il profilo della criminalizzazione dei senza dimora. Non è stato possibile raccogliere lo stesso tipo di dati dei colleghi americani, ma abbiamo avviato una ricerca sulle pratiche e gli obiettivi della criminalizzazione degli homeless attraverso i gruppi locali e alcuni ricercatori. Il nostro Rapporto, Mean Streets: A Report on the Criminalisation of Homelessness in Europe, raccoglie contributi da diversi Stati membri e una panoramica dei trend di criminalizzazione in Europa. Da allora, FEANTSA ha continuato a seguire e sollecitare i suoi membri e a osservare il tema da vicino. Abbiamo pubblicato recentemente un documento attorno alla penalizzazione dell’accattonaggio negli Stati europei. È difficile monitorare i trend di criminalizzazione in Europa, mancano dati e informazioni a livello nazionale così come sulle leggi e normative regionali e locali che penalizzano le attività di sopravvivenza dei senza dimora. Quello che abbiano rilevato è il tentativo vietare l’accattonaggio, in modo particolare in Scandinavia, dove si perseguono soprattutto i rom, per i quali mendicare è un mezzo di sopravvivenza. I rom sono il target anche delle misure contro i campi, in Norvegia per esempio, dove per altro i rom stessi non hanno accesso ai dormitori e comunque non possono permettersi un affitto. Molte città europee continuano a considerare illegale prelevare oggetti vari dai cassonetti, il che significa che le persone che trovano abiti o cibo o altre cose per loro utili possono essere denunciate per furto ai danni della città (come a Barcellona o a Marsiglia). La primavera scorsa c’è stata una vera “invasione” di strumenti anti-homeless, per esempio a Londra, dove condomini e negozi hanno installato degli spuntoni di ferro davanti agli edifici per impedire ai senza dimora di sedersi. Un altro tema caldo è l’utilizzo delle agenzie private della sicurezza per far rispettare le norme securitarie, o semplicemente per scoraggiare chi non consuma nulla dallo stazionare negli spazi pubblici vicino a bar, caffè, gelaterie (non succede anche a Roma?), e anche vicino alle stazioni ferroviarie.

 

RDG: Il vostro Rapporto sottolinea che c’è un nesso chiaro tra la tendenza alla criminalizzazione e alcune restrizioni e cambiamenti in corso in Europa nell’ambito del welfare. Quali sono i problemi maggiori che vedi in questo senso, oggi?

SJ: C’è la concezione errata che un welfare che sostiene e aiuta chi è disoccupato o povero o senza casa possa attrarre nelle città un “turismo sociale”. Non è vero. Se è vero che le persone senza dimora si muovono nella città, non è vero che si spostino da una città all’altra o che da sole se ne vadano in un altro Paese. Le città e i governi usano la falsa motivazione della mobilità degli homeless alla ricerca di migliori opportunità per tagliare sui servizi e per criminalizzare le attività di sopravvivenza. L’Ungheria è arrivata a colpire i senza dimora nella sua stessa Costituzione: è illegale dormire all’aperto, adesso. Il governo afferma che ci sono abbastanza posti in dormitorio, ma è contraddetto dai dati ufficiali. Un aspetto importante è che la gran parte delle misure di penalizzazione sono atti amministrativi, contro i quali è molto difficile per le persone colpite fare ricorso e avere giustizia. Sono norme che spesso violano i diritti umani, su questo è molto illuminante l’analisi che ha condotto il National Law Center on Homelessness and Poverty negli USA. Una questione cruciale nella criminalizzazione dei più poveri è l’accumulo delle multe. Multare persone che non hanno e non avranno mai il denaro per pagare le multe non ha alcun senso. Ciò che è peggio è che le multe non pagate generano nuove multe per i mancati pagamenti, e questi debiti rendono anche più difficile sostenere spese per l’affitto o altri beni. Inoltre, in alcuni Paesi, come il Belgio, chi ha avuto multe o condanne per “comportamenti antisociali” può ritrovarsi escluso dalle graduatorie per la casa, ed è una punizione durissima per chi si ritrova in strada proprio perché non può permettersi una casa.

 

RDG: La criminalizzazione dei poveri si attua a diversi livelli, quello amministrativo gestito dalle municipalità è cruciale. Qual è la tua opinione circa il ruolo delle città? E ci sono esempi di città virtuose, che vanno in controtendenza?

SJ: Per chiarezza’ va detto che molte città non indirizzano le loro misure formalmente contro i senza dimora, ma queste misure vengono usate dalla polizia, dalle forze dell’ordine e anche da quelle di sicurezze private per allontanarli dagli spazi pubblici, o per sanzionarli per attività che magari altre persone possono tranquillamente svolgere nello spazio privato delle loro case. C’è il rischio reale che questo potere discrezionale di procedere o meno venga utilizzato come minaccia o aggressione contro i senza dimora che non hanno alternative. Ci sono, di contro, polizie locali che collaborano con i servizi sociali e con le associazioni per assicurare che gli homeless non vengano perseguiti o incarcerati senza motivo a causa di queste norme. Ad esempio, il Portogallo ha una buona esperienza di cooperazione tra polizia e servizi. Altri Paesi, al contrario, come Regno Unito o Ungheria, usano queste norme proprio contro i senza dimora, o contro i giovani, per obbligarli a lasciare gli spazi pubblici.

 

RDG: Anche in Italia molte città penalizzano l’accattonaggio. Una ragione che viene dichiarata è che l’accattonaggio sarebbe al centro di attività criminali organizzate, di sfruttamento. Tuttavia, va detto che spesso si finisce con il colpire la vittima più che perseguire i criminali. Dal tuo osservatorio cosa puoi dire sullo sfruttamento nelle attività di accattonaggio? O si tratta per lo più di attività individuali o famigliari di sopravvivenza?

SJ: La gran parte dei Paesi europei ha una legislazione che vieta di obbligare qualcuno a mendicare. È anche illegale mendicare con dei minorenni. FEANTSA è a favore delle norme che proteggono dallo sfruttamento; crediamo però che sia sbagliato criminalizzare e penalizzare chi è obbligato a mendicare perché non ha altro reddito e altro modo di procurarselo. Non abbiamo dati oggi su quanto l’accattonaggio sia strategia di sopravvivenza o attività di sfruttamento, ma posso dire che i nostri membri affermano che chi si rivolge a loro per avere aiuto generalmente non ha altra fonte di sostegno e ricorre all’accattonaggio come scelta obbligata.

 

RDG: Esiste in Europa un movimento contro la criminalizzazione delle povertà?

SJ:A oggi, non ci risulta che vi sia un vero movimento che sfidi queste norme. Speriamo che, mettendo in evidenza come queste implichino la violazione dei diritti umani, associazioni e enti locali capiscano la gravità della situazione e comincino a cambiare. Noi siamo aperti a ogni collaborazione e alleanza e continuiamo a monitorare la situazione da vicino. Ci sono organizzazioni molto attive, come The City is For All, a Budapest, Hungary e Observatory Hatento, un osservatorio sui reati di odio razziale e sociale ai danni dei senza dimora, in Spagna.

 

RDG: In conclusione, a due anni dalla vostra campagna, qual è la tua opinione sulla possibilità di invertire la tendenza alla criminalizzazione in Europa?

SJ: Il dato positivo è che oggi il trend di criminalizzazione della povertà in Europa è molto inferiore ancora a quello americano. E tuttavia ci preoccupa il rischio che altre città adottino misure di penalizzazione delle persone che non hanno altre risorse; per questo stiamo sensibilizzando associazionismo e enti locali a riconoscere i rischi di violazione dei diritti umani che queste misure portano con sé.

 



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