La religione di Confindustria e governo non cura la crisi

La religione di Confindustria e governo non cura la crisi

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Per Danilo Barbi, Segretario confederale della CGIL, il ruolo del sindacato nella crisi è di difendere salari e occupazione, parlare con il precariato, aggregare socialmente, indicare la strada per un altro modello e un’altra economia, sapendo che, in questa crisi, vive un inevitabile paradosso: avere ragione ma essere più debole. Ma sapendo anche, e dicendolo forte, che, senza il sindacato, il milione di posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi sarebbe raddoppiato. Il governo Renzi, anziché dispensare medicine, ha perseverato nel produrre malattia: ha risposto in maniera neoliberista a una crisi prodotta dal neoliberismo.

 

Rapporto Diritti Globali: In più occasioni, nei mesi scorsi, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha sostenuto che non pare esserci una “ripartenza vera” dell’economia italiana; al contempo, e come sempre, Confindustria chiede al governo di sostenere le imprese, unico possibile volano della ripresa. Qual è la sua valutazione?

Danilo Barbi: Penso anch’io che non ci sia una ripresa. Siamo a un punto molto basso della realtà occupazionale. Per la CGIL questo è il cuore delle questioni. Quanto alle soluzioni, Squinzi ripropone al governo di fare quello che ha già fatto: peccato che non abbia funzionato. La riduzione generalizzata di tasse e contributi alle imprese non ha intaccato una situazione consolidata. Anche se Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan garantiscono gli aiuti, le imprese non fanno investimenti. Quello di Confindustria è un atteggiamento strano dal punto di vista scientifico: hanno una tesi che non ha bisogno di dimostrazioni pratiche. È come una religione: la si prende per fede anche se l’evidenza dei fatti dimostra l’opposto. Questi favori indiscriminati alle imprese vengono fatti da sei anni e non sono serviti per la ripresa.

 

RDG: La crisi, in tutta evidenza, non è superata. Qual è la sua natura?

DB: Pur essendoci una crisi di offerta e di specializzazione produttiva, questa crisi italiana è inserita in una crisi globale che è essenzialmente una crisi di domanda. Occorre qualificare e non ridurre la spesa pubblica al fine di produrre una fase anticiclica e una correzione strutturale del modello di sviluppo. Renzi con la finanziaria del 2015 e con la prossima del 2016 persegue una politica opposta, cioè riduce la spesa pubblica e garantisce generiche incentivazioni a pioggia con il postulato che solo le imprese fanno la ripresa economica e lo sviluppo. La crisi invece ha chiarito da tempo che il mercato, lasciato a se stesso, in questa fase produce disoccupazione o non è in grado di ridurla.

 

RDG: E questo perché avviene?

DB: Il problema è la domanda. La ripresa deriva anche dalle esportazioni, ma in un Paese come il nostro dove ancora il 70 % del PIL è domanda interna, bisogna trovare il modo per farla crescere. Solo gli investimenti pubblici possono mettere in moto quelli di privati. Non bisogna dunque ridurre la spesa, piuttosto riqualificarla, i posti di lavoro devono essere veramente a tempo indeterminato come da tempo la CGIL chiede nel suo Piano del lavoro.

 

RDG: Su quali strumenti occorre puntare?

DB: Sull’aumento dei salari e degli investimenti pubblici. In questo momento le imprese non fanno investimenti nonostante gli aiuti del governo.

 

RDG: E quali sono gli ambiti possibili di applicazione?

DB: Un piano straordinario di manutenzione del territorio che rimetterebbe in moto gli investimenti privati. È solo un esempio, in cui ci sarebbe spazio anche per le imprese che vogliono lavorare. Non è un’invenzione. È quello che fece Franklin Delano Roosevelt per far ripartire l’economia americana dopo la crisi del ’29. Ma questa è proprio la cosa che non si vuole fare oggi. E il dibattito diventa disonesto. Siamo ostaggi dei medici di Pinocchio, quelli che credevano che il problema non era l’analisi della malattia, ma l’applicazione della medicina scelta prima che la malattia si manifestasse.

 

RDG: I rimedi messi in campo sinora dal governo non sembrano aver funzionato. Cosa si può prevedere per il prossimo futuro?

DB: Si ostineranno ancora a dare al Paese la stessa medicina ed è probabile che il paziente muoia.

 

RDG: A distanza di qualche tempo, che bilancio si può fare del famoso bonus degli 80 euro per il lavoro dipendente?

DB: In fondo poteva essere il segno di una politica economica diversa, una riduzione fiscale mirata ai redditi di lavoro e medio bassi. Era una politica che riconosceva che il lavoro aveva pagato la crisi di più e un tentativo di stimolare la domanda e i consumi. Insomma, un’iniziativa diversa dalla politica della Commissione Europea, che invece ha come ossessione il miglioramento della produttività del lavoro, ma non quella dei capitali e degli investimenti. In realtà, gli 80 euro si sono rivelati uno specchietto per le allodole, una politica strutturalmente coerente con la nuova politica della cosiddetta austerità flessibile. Il suo fine è la riduzione della spesa pubblica e sociale, del costo del lavoro, in maniera meno schematica della precedente austerità espansiva. Anche questa politica non coglie il carattere della crisi, perché la considera accidentale e non di fondo. Pur essendoci una crisi di offerta e di specializzazione produttiva, quella italiana è una crisi di domanda, per cui occorrerebbe qualificare e non ridurre la spesa pubblica per avviare una fase anticiclica e una correzione strutturale del modello di sviluppo.

 

RDG: Il governo, con i suoi consulenti sulle politiche economiche e sulla spending review, in che direzione sta andando?

DB: Renzi mi sembra volere perseguire una politica di riduzione della spesa pubblica e di generiche incentivazioni a pioggia con il postulato che solo le imprese fanno la ripresa economica e lo sviluppo. La crisi invece ha chiarito che il mercato lasciato a se stesso in questa fase produce disoccupazione o non è in grado di ridurla. Il governo grida ottimismo di facciata sui dati dell’occupazione, che in realtà dicono solo che la disoccupazione non aumenta e non si crea nuova occupazione aggiuntiva. Siamo ormai alla mistificazione lessicale, per nuova occupazione si intende solo l’occupazione che passa da un contratto all’altro. Il ministero parla di nuovi contratti, che, in buona parte, sono invece trasformazione dei precedenti. Una politica tutta intesa ad accrescere il mercato non può correggere l’andamento. Nei documenti OCSE si dà per scontato che la disoccupazione resterà all’11% fino al 2020. Questo vuole dire che il 40% dei giovani resterà disoccupato in maniera stabile.

 

RDG: Anche nel 2015 sono sensibili i tagli dei trasferimenti agli enti locali, con forti proteste di governatori e sindaci, costretti di conseguenza alla riduzione di servizi essenziali, in corso ormai da anni. A suo avviso, il governo Renzi darà ascolto agli amministratori locali?

DB: Renzi ha tagliato di più in questo anno e mezzo. C’è stata una restrizione profonda della finanza dallo Stato a Regioni e Comuni. Questo ha aumentato la contribuzione delle persone in tasse, tributi e tariffe e ha provocato una riduzione dei servizi. Il governo ha risposto in maniera neoliberista a una crisi prodotta dal neoliberismo. La mia previsione non è da gufi o da Cassandra – che tuttavia non era quella che portava sfortuna, ma quella che aveva ragione. La vera follia è fare le stesse cose sperando che producano risultati diversi. Non possono essere così ciechi da non essersi accorti che queste ricette non funzionano. Dopo sette anni succedono le stesse cose, ma non esiste un dibattito onesto.

 

RDG: La CGIL e il sindacato che ruolo e risultati hanno avuto in questi anni di crisi?

DB: In questa crisi il sindacato non può fare la cosa che lo rende più forte, cioè praticare l’obiettivo. Una crisi di domanda si affronta aumentando investimenti e salari, e questo non lo può fare da solo il sindacato. Questo è un problema per il sindacato in Europa, sia per quelli antagonisti che per quelli concertativi. Una crisi così cambia le cose, ti dà ragione sulla critica del modello di sviluppo ma ti rende più debole sulla difesa dell’occupazione. È una contraddizione seria perché, di solito, quando hai ragione sei più forte. In una crisi così restiamo in un paradosso: abbiamo ragione e siamo più deboli. L’iniziativa del sindacato la fanno i lavoratori e non i sindacalisti. I lavoratori in questa fase sono spaventati. Il ruolo del sindacato è quello di maturare una capacità di difesa: senza il sindacato il milione di posti persi dall’inizio della crisi sarebbero stati due. Abbiamo fatto 250 mila accordi in sette anni, un fenomeno imponente. Abbiamo difeso i contratti nazionali, che danno il meglio in una fase di crisi, anche perché sostengono i salari medio-bassi nella crisi. L’Italia è l’unico Paese europeo che ha mantenuto il rapporto tra PIL e salari perché siamo il Paese con i contratti nazionali più forti in Europa. In Germania, dove il PIL è cresciuto, i salari sono cresciuti molto di meno. È un risultato notevole, confermato dagli studi di Confindustria.

 

RDG: Questo cosa rappresenta per il sindacato?

DB: È un fatto eticamente determinante ed è un fatto popolare. A nessuno piace solo stare in difesa, ma la storia ci ha messo in questa condizione. Poi il sindacato confederale ha anche un’altra funzione, quella di indicare che un’altra strada economica è possibile, contestando quella del governo. Con il Piano del lavoro è quello che abbiamo fatto: cambiare l’austerità in Europa e proporre una politica pubblica per gli investimenti in Italia.

 

RDG: Cosa prevede la CGIL per i prossimi anni?

DB: Non ci sarà un cambiamento a breve delle politiche economiche. La CGIL dovrà continuare a indicare l’alternativa e a difendere salario e occupazione. In questo momento il sindacato deve avere un ruolo di aggregazione sociale e parlare con il precariato. La risposta non è un’altra giurisdizione del lavoro, ma un’altra economia. Il precariato è dovuto al fatto che c’è poca occupazione e di poca qualità, visto che il modello di sviluppo favorisce finanza e profitti. Se non si critica questo si scatena una guerra tra lavoratori dell’industria e del terziario.



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