Siria, strage di civili a Damasco e Aleppo Ospedali nel mirino

Siria, strage di civili a Damasco e Aleppo Ospedali nel mirino

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OGNI VOLTA che si affaccia la possibilità di una ripresa del negoziato per mettere fine alla guerra siriana, i civili tornano pesantemente nel mirino delle parti in conflitto, e specialmente i bambini, quasi a dimostrare che la tregua è impossibile. Nei quartieri di Aleppo controllati dai ribelli violenti bombardamenti hanno colpito quattro ospedali da campo gestiti dall’associazione Medici Indipendenti (IDA). Un neonato è morto per la rottura dell’incubatrice. Secondo la responsabile del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Siria la situazione delle duecentomila persone che vivono nei quartieri di Aleppo assediati dalle forze del regime è prossima alla «catastrofe umanitaria». «Sono sommersa dalla disperazione », ha detto Marianne Gasser.

L’ospedale dei bambini, dove qualche mese fa era stato ucciso un pediatra impegnato in una meritoria opera di soccorso, è stato colpito per la seconda volta. L’Osservatorio siriano per i Diritti umani, un’organizzazione vicina ai ribelli con sede a Londra, pur confermando i bombardamenti scatenati nella notte di sabato e all’alba di domenica, ha fatto sapere di non essere in grado di precisare se ad effettuare i raid fossero stati aerei siriani o russi.

Di certo, la battaglia di Aleppo è destinata a continuare. La seconda città della Siria (ma secondo alcuni demografi, probabilmente la prima) Aleppo riveste un’importanza sia simbolica sia – data la sua vicinanza col confine turco-siriano strategica decisiva. Per Assad la riconquista di Aleppo sarebbe una vittoria in grado di capovolgere le sorti della guerra in corso da oltre cinque anni. Al contrario, per le forze anti regime, finché Aleppo sarà nelle mani dei ribelli la bilancia penderà a loro favore.

Ma nel fuoco della battaglia non c’è soltanto la capitale economica della Siria. Sempre a Nord, uno scontro non meno strategicamente rilevante, si svolge attorno alla città di Manbji, un presidio molto importante per assicurarsi il controllo dell’ultimo tratto della frontiera fra Siria e Turchia finora sfuggito alle milizie curde ed eventualmente puntare su Raqqa, la capitale del Califfato in Siria. A Manbji è in gioco il destino di 150 mila civili, stretti nella tenaglia dei due schieramenti, uno che fa capo allo Stato Islamico l’altro rappresentato dalle Forze Democratiche Siriane, una coalizione di curdi del YPG e gruppi ribelli “moderati” armati e finanziati dagli Stati Uniti. L’obiettivo della coalizione è mettere sotto controllo tutta la frontiera, cosa che la Turchia non permetterà, e sloggiare i jihadisti da Raqqa. Nei bombardamenti della coalizione a guida americana, a sostegno delle Forze democratiche Siriane, sono stati uccisi cinque civili tra cui un bambino.

Mentre Assad si dice pronto a riprendere il negoziato senza condizioni ed interferenze esterne, ma con la sola assistenza delle Nazioni Unite, anche Damasco torna sotto il fuoco dei katyusha, l’arma dei ribelli per antonomasia, destinata a seminare il terrore nella capitale. Ieri, una salva di cinque katyusha, esplosa da postazioni nascoste nella grande periferia di Damasco, la cosiddetta Goutha, s’è abbattuta sui quartieri cristiani di Bab Tuma e Bab el Salama dove un razzo ha colpito anche un ristorante: otto i morti, ovviamente tutti civili.

È evidente che questa ripresa delle violenze in Siria ha la funzione preventiva di svuotare di contenuto qualsiasi possibilità di dialogo. Anche se il segretario di Stato americano, Kerry, sparge ottimismo su una ipotetica intesa militare con i russi per combattere più efficacemente lo Stato Islamico, l’eventuale tregua dovrà poi passare alla prova del terreno. L’ultima volta, alla fine di aprile, è stata proprio la battaglia di Aleppo a decretare il fallimento del cessate il fuoco.

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