Sradicare la povertà entro il 2030: le sfide per uno sviluppo sostenibile

Sradicare la povertà entro il 2030: le sfide per uno sviluppo sostenibile

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Il 2015 è anno di bilanci e di rilanci. Importanti risultati vi sono stati nella riduzione della povertà estrema e nella lotta alla fame. Però solo in alcune aree e Paesi. Nell’Africa subsahariana il numero di affamati è addirittura aumentato di oltre il 20%. Bisogna guardare in controluce le cifre e i mutamenti nella malnutrizione: penuria di cibo e obesità, ad esempio, sono due facce della stessa medaglia.

Per Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid, organizzazione internazionale presente in oltre 50 Paesi e impegnata nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze, nella sfida per i nuovi Obiettivi post-2015, occorre costruire davvero un’alleanza globale, non solo per condividere gli obiettivi ma per mettere a sistema responsabilità, competenze ed energie di tutti gli attori.

 

Rapporto Diritti Globali: Il 2015 è un anno importante, il Summit delle Nazioni Unite a fine settembre decide quali sono i nuovi Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, per andare oltre gli impegni presi all’inizio del terzo millennio. Ci può fare un bilancio di quest’anno, quali verifiche e quali promesse attendono la comunità internazionale, in termini di lotta alla povertà e alla fame?

Marco De Ponte: Le statistiche e i dati ufficiali ci dicono che la povertà estrema (primo obiettivo) è stata ridotta, anzi dimezzata anche se ancora oggi 1,2 miliardi di persone vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. La regione più in difficoltà rimane l’Africa subsahariana, seguita dall’Asia. I dati FAO ci dicono che il numero delle persone che soffrono la fame nel mondo è sceso sotto gli 800 milioni di persone, quindi seppur lentamente, la comunità internazionale si sta avvicinando all’obiettivo numero 1. Però occorre una lettura dei dati su piani diversi. Oltre ai dati quantitativi, devono essere considerati alcuni aspetti qualitativi. Quando, per esempio, i prezzi del cibo aumentano, come accaduto in questi ultimi anni, i poveri modificano il loro paniere di spesa scegliendo prodotti meno costosi e spesso meno nutrienti. Quindi se consideriamo il problema della malnutrizione nel suo insieme, includendo la mancanza di micronutrienti, ma anche il sovrappeso e l’obesità, il numero di persone coinvolte nel problema di una alimentazione inadeguata raggiunge quasi due miliardi.

Sembra un paradosso, ma malnutrizione e obesità sono facce differenti della stessa medaglia: si tratta di un sistema alimentare ingiusto e disfunzionale. Inoltre, i dati aggregati mascherano differenze regionali vistose: il 90% del contributo al trend decrescente (dal 2000) è dovuto ai risultati ottenuti in due soli Paesi, Cina e Vietnam. Anche per questo dato, se prendiamo l’Africa subsahariana, il numero di affamati è aumentato di oltre il 20%.

Questo per concludere che il bilancio così positivo dato dai dati ufficiali, nasconde diversi limiti; a una lettura più attenta arriviamo a una conclusione diversa: il calo del numero di coloro che soffrono la fame è un dato relativo e ancora più sconfortante è quanto poco sia stato fatto per garantire livelli nutrizionali adeguati per tutti.

 

RDG: Quale dovrà essere in generale il pilastro della nuova architettura nell’agenda post-2015?

MDP: Secondo le analisi di ActionAid, una delle debolezze che ha caratterizzato gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio è stata quella di non aver messo in campo realmente un’alleanza globale; quindi è necessario negoziare un buon compromesso tra gli Stati, ma se poi non si va oltre la cornice politica per realizzare quanto promesso, gli Obiettivi rimarranno sogni nel cassetto. La nuova agenda post-2015 deve alzare la posta in gioco: serve nei fatti una partnership globale che metta a sistema responsabilità, competenze ed energie di tutti gli attori per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Un’alleanza che assicuri che ogni attore rilevante – sia pubblico che privato – svolga la propria parte, nel rispetto delle differenze di ruolo e capacità. Soprattutto per un’organizzazione come ActionAid, la vera sfida per lo sviluppo rimane quella di mettere insieme attori in un sistema di relazioni equilibrate, che renda davvero protagonisti i Paesi poveri e soprattutto i popoli e quella parte di ciascuno di essi che oggi è esclusa dalle decisioni che li riguardano.

L’agenda post-2015 non può essere una ricetta che risolve tutti i mali del mondo, deve anzi offrire un’opportunità critica per ispirare una cittadinanza globale che diventi attiva nella lotta alla povertà in ogni Paese.

 

RDG: Quali sono le priorità per non perdere la battaglia contro la fame?

MDP:Il nodo centrale è quello dei limiti dell’attuale sistema alimentare. La sfida ad aumentare la produzione di cibo sarà pure stata vinta, ma i dati ci dicono che non è stata vinta la sfida della distribuzione e dell’accesso al cibo. La criticità è legata al modello di sviluppo prevalente fino a oggi: la rapida e sostenuta crescita economica in termini assoluti ed aggregati non è che parte del problema: la lotta alla fame e alla povertà non possono aver successo, se non si realizza un riallineamento del sistema economico e del commercio internazionale; ancor più difficile è fare progressi senza passare per una de-finanziarizzazione dell’agricoltura e una limitazione delle modalità di accumulo della ricchezza oggi più legate alla titolarità di capitali che allo sviluppo delle economie reali.

Secondo ActionAid, per diminuire le disuguaglianze, soprattutto in termini di accesso al cibo, è necessaria una nuova democrazia del cibo: serve cioè garantire a comunità, persone, individui, la possibilità di scegliere come produrre e cosa produrre, consumare, acquistare, distribuire. E questo vale a ogni latitudine geografica, dall’Italia al continente africano. La fame, infatti, non è un problema di domanda e offerta, ma di accesso: accesso alla terra, all’acqua, alle sementi e ogni altri input agricolo.

A causa dell’affermarsi di un modello neoliberale e “produttivista”, la piccola agricoltura è stata marginalizzata: oggi almeno il 70% delle persone povere del pianeta (1,4 miliardi) vive nelle aree rurali. Ai nostri giorni è affamato chi è povero, in particolare nelle aree rurali, il che è un paradosso, dato che li il cibo si produce, ma minore è la disponibilità di risorse per accedervi. Inoltre, i danni ambientali determinati dalle politiche produttive incentrate su culture su larga scala sono stati enormi: le loro conseguenze ripropongono, dal punto di vista della sostenibilità, anche la questione della capacità dei nostri ecosistemi di produrre abbastanza cibo per sfamare una popolazione mondiale che nel 2050 avrà superato i 9 miliardi.

Non si tratta, dunque, solo di aumentare o meno la produttività (che potrebbe essere comunque un problema), quanto piuttosto di decidere come farlo nell’interesse degli emarginati. È fondamentale dare spazio a chi produce, rafforzare quindi le economie locali di cibo e mettere al centro degli interessi della politica la piccola agricoltura contadina, che è ancora la spina dorsale del sistema alimentare globale. Serve tutelare il patrimonio: la terra, infatti, non può diventare merce, anzi va assolutamente sottratta a scommesse di natura finanziaria. Per fare tutto questo va ridisegnata l’organizzazione dei mercati e la governance complessiva dei sistemi alimentari a tutti a tutti i livelli.

 

RDG: Nel 2015 l’Italia ha ospitato l’Expo. Quali sono le richieste che come organizzazione avete fatto al governo italiano, soprattutto in relazione alla Carta di Milano?

MDP: Expo Milano 2015 è nata con la grande ambizione di far riflettere su come “nutrire il pianeta”. La Carta di Milano è sicuramente un documento di principio che aiuta la riflessione, però, per diventare veramente significativo, dovrebbe poi essere accompagnato da una serie di impegni concreti da parte del governo italiano sul piano locale e internazionale.

ActionAid ha evidenziato, anche in coalizione con altre organizzazioni come Oxfam e SlowFood, che Expo non può limitarsi ad alimentare un dibattito sulle sfide future del cibo – pur essenziale – senza che questo sia anche sostenuto da impegni reali del governo ospitante. Il cibo è un fatto politico d’interesse di chi lo produce e lo consuma. Il punto non è quindi Expo e nemmeno la Carta di Milano, ma la capacità che il governo italiano avrà di portare questa Carta nei luoghi dei negoziati e quindi di indirizzare diversamente l’agenda del cibo. Quale sarà la politica, il posizionamento, la coerenza dello stesso su tutti i fronti che il governo italiano saprà mettere in campo? Il futuro della credibilità italiana si decide nei piani triennali di cooperazione, nell’aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo dedicato all’agricoltura, si definisce anche se si adottano politiche che mettono al bando i biocarburanti dando battaglia reale nelle sedi europee, con politiche che dicono chiaramente “no” al land grabbing nei Paesi poveri e anche al land grabbing sul nostro territorio. Si definisce adottando politiche ben diverse dalla Nuova Alleanza per la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione, che sappiamo aprire le porte a minacce ulteriori per il diritto alla terra e per i piccoli agricoltori africani (come evidenzia il caso che ActionAid ha portato all’attenzione dei media, in Tanzania).

 

RDG: Il tema della relazione tra città e cibo, è sempre più forte e s’impone sempre di più nell’agenda post 2015. È possibile costruire attorno a questa relazione delle politiche di sostenibilità?

MDP: A livello nazionale le città sono testa e pancia del sistema alimentare. Testa perché è lì che si decidono le politiche, pancia perché è la città che più consuma. La risposta per ActionAid è un sistema locale di cibo che funzioni davvero.

ActionAid ha individuato nella ristorazione scolastica una leva di cambiamento e partecipazione. Rendere gli italiani consapevoli di quello che mangiano ogni giorno nei luoghi pubblici, di cosa consumano, di come e dove si produce il cibo risulta fondamentale per far evolvere anche i consumi privati. Partendo dalle scuole, dall’educazione alimentare, dalla lotta agli sprechi, dall’idea di una mensa giusta, si può vincere una battaglia tutt’altro che simbolica. Insomma “cambiare verso” sì, ma partendo da noi. È attorno al cibo sano e giusto, distribuito bene e senza spreco, che si possono costruire politiche di sostenibilità, valore aggiunto per noi italiani, come per i contadini africani o asiatici. Con CittadinanzAttiva e Slow Food, ActionAid ha lanciato una petizione per chiedere una rimodulazione delle Linee di Indirizzo per la Ristorazione Scolastica del 2010, con particolare attenzione all’uso di prodotti locali e sani, il rispetto dei lavoratori coinvolti in tutte le fasi della produzione, la partecipazione di genitori e alunni alle scelte relative alla loro alimentazione, una effettiva trasparenza e l’incentivazione di politiche di riduzione degli sprechi e dei rifiuti.

 

RDG: Passiamo alla cooperazione internazionale, in termini di politiche per lo sviluppo, come si posiziona l’Italia?

MDP: L’Italia arriva alla scadenza degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (i Millennium Development Goals, MDGs) con una legge sulla cooperazione approvata da appena un anno.

Sicuramente la nuova legge definisce la cooperazione come parte integrante e soprattutto qualificante della politica estera. Il disegno politico è quello di rafforzare il ruolo dell’Italia nella politica internazionale a partire da uno scenario, quello del Mediterraneo, caratterizzato da instabilità e stravolgimenti economici e sociali. Sicuramente una carta da giocare per la nostra cooperazione pubblica – anche in assenza o a fronte di una bassa intensità di capitale – è quella della spinta all’innovazione; certamente, visto che l’Italia è ancora lontana dalla media dei Paesi DAC e dalla UE in termini del rapporto tra APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo) e ricchezza nazionale (PIL) questo aspetto non può essere ignorato e va dunque sottolineato come il presidente Matteo Renzi si sia preso un impegno pubblico ad Addis Abeba, alla conferenza sulla finanza per lo sviluppo, di presentarsi al G8 “di casa” nel 2017 come quarto e non ultimo dei Paesi di quel gruppo in termini di rapporto APS/PIL. Vedremo.

La nuova legge ha introdotto importanti novità; quella che desta alcune preoccupazioni è certamente il ruolo poco chiaro riservato al settore privato. È in corso un’ampia discussione rispetto a obblighi e attese rispetto al settore privato: se da un lato le capacità tecniche, quella di generare reddito e le risorse aggiuntive possono essere coadiuvanti rispetto al modello adottato fino a oggi dalla cooperazione italiana, dall’altro sarà necessario assicurare la massima trasparenza alle modalità di intervento delle aziende che vorranno operare come soggetti di cooperazione. E quindi creare delle regole chiare e condivise sulla trasparenza nell’impiego delle risorse pubbliche.

 

* L’intervista è stata realizzata a inizio settembre 2015



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