La deflazione non va in ferie e le vacanze sono più care

by Roberto Ciccarelli, il manifesto | 12 Agosto 2016 9:51

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Ripresa sempre più incerta, l’export cala, aumentano i prezzi di trasporti nel turismo. I dati attestano il sostanziale fallimento del «Quantitative easing» della Bce di Mario Draghi

La deflazione rallenta a luglio e i prezzi al consumo calano dello 0,1%. Per l’Istat l’indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,2% su base mensile e una diminuzione dello 0,1% su base annua (era -0,4% a giugno). Dati che confermano le stime preliminari. A luglio altre due grandi città si sono aggiunte all’elenco della deflazione: oggi sono 16. L’Istat sta registrando segnali di attenuazione delle dinamiche deflazionistiche registrate nella prima parte dell’anno. Milano ha avuto la flessione più ampia (-0,6%, a giugno era -1% ). Ancona, Bari e Potenza (-0,5% per tutti e tre i capoluoghi di regione) poi Palermo e Reggio Calabria (-0,4%). A Roma il calo si è fermato al -0,2%. Questo significa che una famiglia milanese di 4 persone risparmierà 308 euro all’anno. Ad Ancona, vi sarà una minor spesa di 187 euro. A Bari una famiglia di 4 persone risparmierà 165 euro (-0,5%) stimano i consumatori dell’Unc. Il problema è che non ripartono i consumi.

Ciò che ha permesso di frenare l’indice generale è stato il rafforzamento della crescita dei prezzi degli alimentari non lavorati (+1,5%, da +0,7% di giugno), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,8% da +0,4%) e dei servizi relativi ai trasporti (+0,7%, da +0,2%). Il vero motore della flessione tendenziale dei prezzi al consumo continua ad essere il calo dei prezzi dei beni energetici che a luglio sono diminuiti del 7% su base annua (era a -7,5% a giugno). Non bisogna nemmeno trascurare che a giugno, con l’estate in arrivo, siano cresciuti i prezzi dei servizi sui trasporti (+2,5%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,7%). Settori che fanno affari quando si respira aria di vacanza: in un solo mese, sostiene l’Unione Nazionale dei Consumatori, i prezzi del trasporto aereo passeggeri sono saliti del 21,3%, il trasporto marittimo del 26,5%, il trasporto ferroviario passeggeri dell’1,7%, i villaggi vacanza e campeggi del 19,4%, i pacchetti vacanza dell’11,1%. Solo la voce alberghi, motel, pensioni ha segnato un calo dell’1,3% su base mensile. Questi aumenti possono avere falsato i dati sul miglioramento dell’inflazione. «La verità è che sul fronte dei prezzi in Italia continua l’emergenza, dovuta principalmente alla mancata ripartenza dei consumi – sostiene Carlo Rienzi del Codacons – Di questo passo si preannuncia un autunno nero per l’economia italiana». L’Istat ha inoltre reso noto che a giugno la bilancia commerciale ha segnato un surplus di 4,7 miliardi superiore a quello di giugno 2015 (+2,8 miliardi). A giugno le esportazioni hanno registrato un lieve calo congiunturale (-0,4%) e si sono ridotte dello 0,5% rispetto al 2015. Le importazioni sono stazionarie su base mensile, mentre sono calate del 6,1% sull’anno.

La situazione resta stazionaria come da tre anni a questa parte (0,1% nel 2015, 0,2% nel 2014) in uno scenario deflazionistico che riguarda molti paesi europei (qui la media si tiene poco sopra lo zero). In Spagna è infatti prevista una deflazione a meno 0,6%, mentre Francia e Germania resistono. Si resta comunque lontani da quel 2% dell’inflazione, l’obiettivo che si è data la Banca centrale europea (Bce) da quando è iniziato il programma del «Quantitative Easing». Il dato italiano, oggi sono attesi i dati non positivi dell’andamento del Pil del secondo trimestre 2016, conferma il sostanziale fallimento degli acquisti mensili di titoli in prevalenza statali pari a 80 miliardi di euro al mese. Il «Qe» è partito nel 2015 e per l’Fmi serve farlo durare più a lungo di settembre 2017. Fino a oggi Draghi ha spiegato l’esito non proprio soddisfacente dell’alluvione monetaria sostenendo che senza di essa l’inflazione sarebbe crollata ancora di più. Le voci insistenti su un prolungamento del «Qe» attestano la volontà di proseguire con una ricetta che non sembra essere efficace nella lotta contro quelle che Draghi ha definito «forze deflazionistiche». Fatto sta che i dati italiani confermano, una volta di più, una spirale: quando i prezzi calano generano l’aspettativa di un ulteriore calo e questo porta le famiglie a posticipare gli acquisti, anche se in questo momento stanno risparmiando. Lo fanno per una ragione materiale evidente: sperano di risparmiare ancora oppure perché non hanno soldi a sufficienza. Il calo dei consumi si abbatte sui fatturati delle imprese che non assumono perché non c’è una domanda per quello che dovrebbe produrre. E così via. Inutile dunque sperare nell’effetto salvifico del bonus degli 80 euro. Il problema sta alla base, e non in alto: sono i cittadini che non hanno reddito e lavorano poco e precariamente ad alimentare la deflazione. Difficile pensare il taglio di spesa pubblica e salari possa aiutarli. Un’altra soluzione ci sarebbe: dare i soldi del «Qe» a loro per aumentare la domanda interna. Ipotesi giudicata «suggestiva», ma scartata da Draghi.

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