Sirte, caccia ai cecchini Isis e Haftar da solo assedia i porti

Sirte, caccia ai cecchini Isis e Haftar da solo assedia i porti

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I festeggiamenti a Sirte sono rimandati di qualche giorno. Sulla cupola dell’ex centro congressi Ouagadougou dove il Colonnello Muammar Gheddafi organizzava seminari sul suo Libro Verde e dove dal giugno dell’anno scorso l’Isis aveva stabilito il suo quartier generale, l’avamposto per istituire un Califfato satellite proprio davanti alle coste italiane, non svetta alcuna bandiera, almeno a vedere le immagini della tv Al Ahrar. Ma i miliziani neri non sono stati ancora del tutto cacciati dalla città.

Il sindaco Moktar Khalifa sostiene che il settanta per cento di Sirte è ormai sotto il controllo delle truppe leali al governo di accordo nazionale del premier Al Sarraj. Ma sparuti gruppi di combattenti Daesh si sarebbero rifugiati nei quartieri residenziali a nord, tra ciò che resta dei residence con piscina e vista mare. Ed è lì che ora sono braccati dai soldati di Misurata, che compongono il grosso dell’esercito vincitore riunito sotto il nome dell’operazione militare «Bunian al Marsus», cioè Edificio dalle fondamenta solide.

Ieri il portavoce di Bunian al Marsus, Rida Issa, ha detto che nella battaglia finale di mercoledì per la conquista del centro congressi e soprattutto dei viali del campus universitario le milizie lealiste hanno subito tre perdite e 11 feriti, ai quali si aggiungono i due piloti del Mig di fabbricazione sovietica abbattuto, i cui corpi sono stati recuperati e trasferiti ieri alla morgue dell’ospedale di Misurata. Ma da maggio, quando è partita l’operazione anti-Isis verso Sirte i caduti sono stati 354 e almeno 2 mila i feriti.

Tanti, troppi per le milizie di Misurata che a fine luglio scorso hanno perciò preteso una copertura aerea, che il 1° agosto è prontamente arrivata con i droni e i caccia dell’operazione Usa «Odyssey Lightning». La maggior parte dei morti però non è risultato di scontri a fuoco – secondo quanto spiega il quotidiano Times of Oman (è in Oman che risiede ciò che resta della famiglia Gheddafi, originaria proprio di Sirte, a parte il secondogenito Saif al Islam) – ma dell’attività dei cecchini e dello scoppio di mine. Ed è proprio la bonifica da questi due pericoli mortali che è iniziata ieri a Sirte.

Il premier Sarraj, che ieri in una nuova intervista a una agenzia di stampa italiana, ha precisato come i contatti con il governo italiano siano giornalieri ma ha anche ribadito che non chiede all’Italia l’invio di truppe. Le sue richieste sono precise: sminatori e assistenza sanitaria più celere.

Tutti i siti libici e panarabi enfatizzano la contrarietà dei parlamentari e dei cittadini italiani a un eventuale intervento militare in Libia e le precisazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a questo riguardo. Gentiloni ha ribadito infatti che l’Italia non invierà scarponi, cioè soldati. Ma non è mai stata smentita la presenza, da mesi e forse da anni, di unità «humint» – cioè agenti d’intelligence – e di personale d’addestramento.

E ieri è arrivato a Tripoli, intanto, un nuovo ambasciatore: Giuseppe Perrone, 49 anni, diplomatico di carriera con il rango di ministro, molto competente sulla Libia. A lui spetterà il compito di «stabilizzare» un paese così importante per l’Italia sia per la ponderosa presenza Eni – unica compagnia petrolifera straniera che produce per il mercato locale, con impianti finora intatti – sia per vicinanza geografica e controllo dei flussi di migranti dall’Africa.

Il primo grave problema che si troverà di fronte sarà ora quello della situazione di Zueitina, terzo porto petrolifero per importanza della Libia dove le guardie addette alla sicurezza degli impianti – le milizie Pfg – sono da giorni sotto attacco dell’esercito al comando del generale Khalifa Belqasim Haftar fedele al governo «ribelle» di Tobruk, finora sostenuto dall’Egitto e dalla Francia.

Secondo quanto riportano il sito Libya Observer e l’agenzia turca Anadolu, Haftar sarebbe però stato «abbandonato» dai francesi. Le forze speciali francesi avrebbero abbandonato da lunedì la base congiunta di Benina, a Bengasi, per essere trasportate nella base Usa di Malta ma – afferma Anadolu – «non è escluso un loro ritorno». La decisione di trasferirle sarebbe stata presa da Parigi dopo le rimostranze di Tripoli con l’ambasciatore francese per «palese interferenza e violazione della sovranità nazionale libica» dopo l’abbattimento dell’elicottero francese a est di Bengasi a luglio.

Ieri sul sito del Quai d’Orsay, il ministero degli Esteri, campeggiava la nota dei sei governi occidentali – Francia, Italia, Germania, Spagna Regno Unito e Usa – per la tutela degli impianti petroliferi, una dichiarazione di appoggio al governo Sarraj.

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