Zero educazione alla catastrofe, l’Italia non cambia verso

Zero educazione alla catastrofe, l’Italia non cambia verso

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Prevenzione ed educazione sono due parole poco attuate quando si parla di catastrofi ambientali come terremoti e alluvioni, soprattutto in Italia. In queste ore si assiste alla retorica del linguaggio della comunicazione, sia da parte dei giornalisti sia da parte dei politici. I geologi, gli unici esperti in materia, sono la categoria più inascoltata insieme ad architetti, ricercatori e antropologi che hanno trattato il tema della catastrofe negli anni. Le esperienze recenti dell’Aquila e dell’Emilia non hanno insegnato nulla, si continua ad agire nello stesso modo: zero prevenzione, zero educazione alla catastrofe.

Molti pensano che conoscere i fenomeni ambientali della propria zona di residenza non sia così importante, in fondo pensiamo sia questione di fortuna. Non abbiamo più memoria del passato come ha ricordato il geologo Tozzi, che ha analizzato le zone terremotate note per quei fenomeni fin dai tempi di Tacito (51 d.C.). Poi quando accade l’evento, non sappiamo cosa fare.

La politica, abile nelle parole di circostanza, preferisce discutere per mesi di questioni come il referendum, che incidono marginalmente sulla cittadinanza, piuttosto che mettere in sicurezza il territorio. Quando nel 2013 insieme ad Anna Rita Emili, architetto e ricercatrice ad Ascoli Piceno, realizzammo a Torino per il Festival Architettura in Città, un prototipo di unità abitativa per il post-catastrofe, nessun amministratore e nessun funzionario della Protezione Civile comunale torinese partecipò, nonostante li avessimo invitati. Ciò dimostra un disinteresse da parte degli addetti ai lavori nel cambiare comportamenti consolidati, evidente anche nell’uso delle tende per la prima accoglienza, escludendo a priori altre tipologie e materiali come le micro-unità abitative in cartone che Shigeru Ban realizzò per l’Onu per il terremoto di Kobe (1995). Rivedere ancora i container, le tende e i letti all’interno dei palazzetti sportivi, è sintomo di arretratezza culturale.

Ban per il terremoto del 2011 realizza il Paper Partition System da collocare nei palasport formato da un insieme di strutture tubolari in cartone di dimensioni variabili, a seconda del nucleo famigliare, separate le une dalle altre da teli bianchi per preservare la privacy. Dunque “cambiare verso” significa attuare un nuovo approccio alla catastrofe per fasi: prima, durante e dopo. Definire nuove progettualità architettoniche che mettano in condizione gli edifici, a partire da quelli pubblici, di resistere alle scosse; solo così si può riattivare l’economia per il bene delle comunità.

Analizzando situazioni analoghe in Giappone, Real Estate Tokyo, un sito di compravendita immobiliare, informa i futuri acquirenti sulle norme antisismiche in vigore nel paese e sui rischi delle tipologie costruttive (legno, cemento, acciaio). In questo report si evidenzia come a seguito del terremoto della prefettura di Miyagi (1978) le nuove costruzioni dal 1981 hanno standard costruttivi così elevati da ridurre il collasso degli edifici causato dal terremoto. Ma il Giappone investe energie e denari per educare i cittadini attivando esercitazioni in cui i pompieri simulano gli interventi, addirittura ricostruendo prefabbricati di legno con all’interno i volontari/vittime da salvare. In America la Fema (Federal Emergency Management Agency) istruisce adulti e bambini partendo dall’elemento base: il kit di sopravvivenza. Il sito ready.gov fornisce istruzioni per tipologia di catastrofe.

Per il terremoto dropcoverholdon.org illustra in modo chiaro come comportarsi in casa e fuori durante l’evento sismico. Tra i tools a disposizione il gioco Beat the quake, dove è riprodotta una stanza arredata per sondare i comportamenti corretti. Il sito ufficiale del governo federale della California individua i punti fondamentali per prepararsi alla catastrofe: identifica il rischio, crea un Piano famigliare (in cui si pianifica come muoversi durante e dopo la catastrofe). Inoltre i cittadini sono invitati a partecipare a ShakeOut, esercitazione collettiva che si svolge ogni anno.

Questo aspetto relativo all’educazione e alla comunicazione è ancora carente nella Protezione Civile Italiana, alcune campagne come Io non rischio sono un piccolo inizio anche se nei centri minori è inesistente. Come dimostra questo terremoto, non bisogna informare solo gli abitanti delle città ma anche tutti gli abitanti dei medi e piccoli paesi che costituiscono l’ossatura suburbana italiana. Oggi che siamo tecnologicamente avanzati e si può condividere tutto, sembra che non ci si accorga delle potenzialità della rete per monitorare i territori e per rendere i cittadini primi guardiani, e a costo zero.

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