Profughi, visti e basi militari i fronti aperti con l’Occidente

Profughi, visti e basi militari i fronti aperti con l’Occidente

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Turchia ed Europa. Molti fronti aperti e poche speranze di incontro. Rapporto difficile, sospettoso, ostile da entrambe le parti. Una relazione in fondo mai decollata dopo la storica ammissione di Ankara nel 2005 come Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea. Ma allora era un’altra Europa. E anche un’altra Turchia, che rispetto alle promesse non ha sciolto tutta una serie di nodi che la mettono in rotta di collisione ora non soltanto con la Ue, ma con l’Occidente. Qui di seguito i più urgenti.

LA LIBERALIZZAZIONE DEI VISTI
Forse il problema maggiore che si profila: Ankara negli ultimi giorni è tornata a battere il pugno sul tavolo con l’Unione: o si liberalizzano i visti di ingresso entro l’autunno, oppure l’accordo sui migranti sottoscritto a marzo salta. Posizione espressa pochi giorni fa dal ministro turco per gli Affari europei Mevlut Cavusoglu in un’intervista alla Frankfurter Alllgemeine Zeitung: «Se entro inizio o metà di ottobre non ci sarà la liberalizzazione dei visti saremo costretti a prendere le distanze dall’accordo». Dichiarazioni che ricalcano quelle di Erdogan.
LA QUESTIONE DEI MIGRANTI
L’intesa raggiunta in primavera tra Bruxelles e Ankara sembra traballare. Finora, secondo le stime, i migranti irregolari sono stati sufficientemente controllati da Ankara, che ha impedito verso il continente europeo un afflusso generalizzato di persone. Inoltre, la Turchia ospita al suo confine più di 3 milioni di profughi siriani, e l’accordo con la Ue ha stabilito un compenso in aiuti per 6 miliardi di euro. Erdogan lamenta che solo una minima parte sia stata già erogata. Ed è in grado di decidere come regolare il flusso dei migranti che premono alle porte d’Europa. A Bruxelles c’è chi ipotizza un piano B, per togliere la questione (e il denaro) da Ankara e assegnarla ad Atene. Passo che farebbe infuriare Erdogan.
LA GUERRA IN SIRIA
Per più di tre anni il governo conservatore di ispirazione religiosa, al potere ad Ankara dal 2002, ha chiuso un occhio sul passaggio — nel suo territorio — di jihadisti che volevano unirsi allo Stato Islamico in Siria e in Iraq. L’intento di Erdogan era quello di ottenere l’abbattimento di Assad, suo ex amico politico e personale. Solo quando il Presidente americano Barack Obama ha fatto la voce grossa, nel 2015, Erdogan ha iniziato a bombardare i seguaci di Al Baghdadi in Siria, ma puntando soprattutto sui guerriglieri curdi che invece li combattono (e che conducono pure una guerra ai militari turchi nel Sud est dell’Anatolia). Ankara considera i ribelli curdi come terroristi, ma la coalizione internazionale li ha come alleati nella guerra contro l’Is.
LA BASE DI INCIRLIK
Nel Sud della Turchia ha sede una delle infrastrutture militari più importanti della Nato. La base di Incirlik rappresenta una roccaforte dell’Occidente, per contenere i pericoli che un tempo venivano dall’Unione Sovietica, e oggi dal Medio Oriente.
Qui la Turchia ha almeno 50 testate nucleari. Ankara ha adottato una politica sempre più provocatoria sulla base militare — dalla quale partono gli aerei per bombardare la Siria — e l’installazione viene chiusa o riaperta a piacimento. Di recente il capo di Stato maggiore americano, generale Dunford, è andato a discutere con il premier turco Yildirim per affrontare la questione.
L’ABBRACCIO CON PUTIN
Russia e Turchia avevano rotto i rapporti dopo l’abbattimento (novembre) di un Sukhoi che per 17 secondi era entrato nello spazio aereo turco. Mosca reagì non spedendo nemmeno un turista sulle coste turche, contribuendo a mettere in ginocchio la stagione estiva del Paese, già falcidiata da attacchi e attentati. Erdogan ha poi scritto una lettera al portavoce di Putin, e il rinnovo delle relazioni sarà siglato domani, nel vertice di San Pietroburgo.
Summit che potrebbe siglare un nuovo patto Mosca-Ankara, in chiave antieuropea e antioccidentale, formando un inedito asse.
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