A Berlino chiamata a raccolta mondiale per una Internazionale della Pace

by Francesco Vignarca, il manifesto | 28 Settembre 2016 9:39

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Parlare di Pace. E non solo in generale, ma per «cambiare il clima politico internazionale attraverso il disarmo». Sembrerebbe una follia pensando alla situazione attuale, con un mondo sconvolto da conflitti armati, terrorismi, insicurezze, cambiamenti epocali.

E invece movimenti per i diritti e per la pace, sindacati, associazioni religiose, centri studi, fondazioni di partito, parlamentari, organizzazioni e campagne internazionali si sono dati appuntamento a Berlino dal 30 settembre al 2 ottobre per lavorare insieme in questa prospettiva. Chiamate a raccolta da International Peace Bureau (la più antica rete internazionale per la Pace, premio Nobel nel 1910).

Più di 200 relatori in decine di incontri plenari, tavole rotonde, workshops e un numero crescente di eventi collaterali organizzati per costruire davvero una nuova agenda di azione comune che sostanzi un percorso di pace possibile. Tra i presenti nei numerosi incontri e tavole rotonde le Premio Nobel per la Pace Jody Williams e Tawakkol Karman, gli economisti James Galbraith e Samir Amin, attivisti e pensatori come Vandana Shiva e Noam Chomsky, ex-politici e rappresentanti di istituzioni internazionali come Mikhail Gorbachev, Federico Mayor Zaragoza e Angela Kane, senza dimenticare il fondatore del Right Livelihood Award Jakob von Uexküll e del vincitore dello stesso premio Alyn Ware, uno dei principali esponenti delle campagne che chiedono l’abolizione delle armi nucleari.

Ma a parte l’alto livello dei contenuti e la numerosa e internazionale composizione dei partecipanti, il vero punto fondamentale di questo evento (che potrebbe davvero portare ad una nuova Agenda della Pace) è il punto di partenza scelto, completamente centrato sul disarmo. Gli organizzatori di «Disarm! For a climate of Peace» (questo il titolo) hanno voluto infatti focalizzare i lavori sull’attuale tendenza globale alla militarizzazione che sta portando a sempre più guerre. Un’evoluzione internazionale che è in pieno contrasto con la reale necessità di una trasformazione globale positiva, che sarà possibile solo spostando massicciamente su maggiore equità sociale e una vera cultura di pace gli enormi fondi bruciati oggi con la spesa militare di tutti gli Stati.

Miliardi di dollari potrebbero essere più proficuamente investiti per mitigare il cambiamento climatico, rafforzare pace e sicurezza in tutto il mondo, sostenere uno sviluppo positivo e sostenibile, dare risorse per progetti umanitarie e promuovere giustizia sociale.

Lo confermano le parole di Lisa Clark dei «Beati i costruttori di Pace» e della Segreteria internazionale Ipb: «La missione dell’International Peace Bureau è di impegnarsi per la costruzione di un mondo senza guerre. Per raggiungere l’obiettivo, crediamo sia necessario superare le gravissime diseguaglianze socio-economiche e realizzare pienamente i principi enunciati della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che tutti gli Stati hanno adottato. Tutti i diritti umani per tutti».

Da qui l’esigenza di ritrovarsi per tracciare insieme una strada. «Ipb ha pensato questo congresso come un contributo alla riflessione e alla costruzione di reti tra i movimenti che si impegnano per i diritti umani e la pace, in occasione del 125° anniversario della sua fondazione», continua Lisa Clark. Anche allora (1891/2) si svolgevano incontri tra le società civili alla ricerca di soluzioni che permettessero di prevenire le guerre, emancipare i diritti, promuovere le libertà.

Questo congresso di Berlino, nella sua struttura, deve molto anche alle esperienze dei Forum Sociali mondiali e continentali, che hanno contribuito a costruire reti tra Nord e Sud del mondo, favorendo la partecipazione attiva e allargando la visione delle problematiche e le potenzialità delle proposte».

Nel programma dei lavori è inserito anche un Workshop promosso da Rete Disarmo in collaborazione con la rete Enaat (European Network Against Arms Trade) e dedicato alla questione dei fondi Ue che potrebbero, per la prima volta, finire a sostenere la ricerca delle industrie militari. Soldi molto più utili, invece, se destinati ad una economia di Pace.

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