Calais, l’autostrada contro la giungla

Calais, l’autostrada contro la giungla

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Nei saloni vellutati di Hangzhou, dove la Cina ha accolto il G20, gli europei hanno alzato la voce: le capacità di accoglienza dei rifugiati nella Ue «hanno quasi raggiunto il limite», ha riassunto il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk.

Al vertice che si terrà negli Usa questo mese su questo problema dovrebbero concretizzarsi alcune risposte, come un’intensificazione internazionale degli aiuti e una condivisione dei costi. Ma in Europa l’impazienza cresce. Un esempio è quello che accade in queste ore a Calais, uno dei grossi punti di frizione e di disperazione. Ieri è iniziata una mobilitazione della popolazione.

L’autostrada A16 è stata bloccata da una catena umana e i manifestanti, ricevuti ieri in Prefettura, non hanno intenzione di mollare prima di avere dal governo una data precisa per l’evacuazione della parte sud della “giungla” (la parte nord è stata evacuata lo scorso febbraio).

La protesta degli abitanti ha unito fette della popolazione che di solito sono lontane, sotto lo sguardo deluso e inquieto degli umanitari che si occupano dei migranti: commercianti, camionisti, lavoratori e sindacati. Tutti denunciano le conseguenze economiche sul territorio dovute alla presenza della giungla. «Non vogliamo stigmatizzare nessuno, non siamo contro i rifugiati, siamo stati i primi ad accoglierli – spiega una commerciante – ma qui la situazione economica è drammatica».

Un ristoratore afferma che rischia il fallimento, perché ormai gli inglesi non vengono più a Calais. Altri abitanti raccontano la paura, dei camionisti con un gilet rosso con la scritta «Amo Calais» hanno presentato uno striscione: «Siamo camionisti, non passeurs di migranti», per denunciare i tentativi di salire sui Tir da parte dei rifugiati che sperano di poter raggiungere la Gran Bretagna.

Dei lavoratori del porto, anche della Cgt, hanno messo delle barriere all’entrata del Tunnel e organizzato un barbecue: «L’occupazione è in calo – spiega uno di loro – qui ci sono famiglie che vivono sul porto, ma a causa degli attacchi ai camion molti trasportatori non vogliono più passare per Calais». Il Fronte nazionale, ieri, si è precipitato a prendere le difese della popolazione.

Il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, che alcuni giorni fa era stato di nuovo a Calais, continua a promettere lo smantellamento, ma non può dare date certe. Per la sindaca di Calais, Natacha Bouchart (dei Républicains), «o il governo non prende la misura della gravità della situazione oppure non sa cosa fare e questa non-azione è un’ammissione di impotenza».

Il presidente della Regione Nord, Xavier Bertrand (Républicain) chiede che venga aperto un campo in Gran Bretagna per chi vuole chiedere l’asilo oltre-Manica. I rifugiati di Calais sono entrati nella campagna elettorale. Nicolas Sarkozy, che quando era ministro degli Interni nel 2003 aveva firmato gli accordi del Touquet con Londra (soldi dalla Gran Bretagna, 30 milioni l’anno, per gestire a Calais i candidati all’emigrazione oltre-Manica) adesso denuncia l’intesa. Anche Alain Juppé chiede a Londra di gestire in prima persona la propria immigrazione.

Ma la soluzione sembra un’equazione impossibile. A Parigi sta per essere aperto un luogo di accoglienza che rispetta le norme Onu, che sarà seguito da un altro con dei posti per le persone più fragili. La ministra della Casa, Emmanuelle Cosse, ha assicurato che in Francia i posti nei Cao (Centri di accoglienza e orientamento) saliranno da 2mila a 5mila entro fine mese.

Ma non basta. Ormai, a Calais, intasati in un terreno dimezzato, ci sono tra i 7mila e i 10mila migranti (6900 per le Prefettura, più di 9mila per gli umanitari). L’associazione France Terre d’asile ha recensito a fine agosto 862 minorenni isolati, a fine mese dovrebbe aprire una nuova struttura dedicata a loro. Ma la polizia impedisce ormai la costruzione di capanne in legno, così i rifugiati si intasano di nuovo sotto tende improvvisate.

L’estate è stata drammatica, manca l’acqua, i bagni sono insufficienti. Funziona il centro Jules Ferry, che distribuisce sui 4mila pasti al giorno, dove i rifugiati possono fare una doccia. Ma il governo frena e così i posti mancano sempre.

Lo scontento e la protesta dilagano, sia tra la popolazione che tra i rifugiati, dove le tensioni crescono tra persone di diversa provenienza (nella notte tra il 22 e il 23 agosto un sudanese è stato pugnalato in una rissa con degli afghani).

Il governo organizza dei pullman, per redistribuire i rifugiati sul territorio francese. Ma accetta di abbandonare Calais solo chi ha rinunciato ad andare in Gran Bretagna e ha deciso di iniziare le pratiche di richiesta d’asilo in Francia. La burocrazia è pesante e lenta. Le regole di Dublino continuano a valere, anche se la Francia non le applica a Calais: sono quindi un freno all’accettazione di spostarsi in un’altra regione francese, dove invece restano in vigore.

Una buona parte dei rifugiati sono stati schedati in Italia e rischiano così di venire rispediti nel paese di primo sbarco.

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