Il gioco delle Olimpiadi

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Roma è candidata alle Olimpiadi del 2024 dal 15 settembre del 2015 quando Ignazio Marino ha firmato la lettera di candidatura. La sindaca Virginia Raggi può dire no; farlo è semplice, deve inviare una lettera al Cio motivando il ritiro, l’ha fatto Amburgo, lo può fare Roma. Altre candidature non possono esserci. Il sindaco di Milano si è subito sottratto alle interessate strumentalizzazioni, altri, meno seri, no. Il gioco è spingere (costringere) la sindaca a dire pubblicamente sì. Al Cio conoscono le posizioni elettorali e una dichiarazione pubblica a favore è indispensabile per non indebolire la candidatura. Sarebbe bene sottrarre la città a questi “giochi”: è una priorità.

La prima questione è il ruolo del Comune che dovrebbe essere centrale. Sul sito di Roma 2024 è invece relegato al ruolo di main partner, come l’Enel, l’Alitalia, l’Unicoop. Nel Comitato promotore di Paris 2024 la città figura tra i soci fondatori e il sindaco Anne Hidalgo ne è il volto. Il 7 ottobre è in calendario la terza consegna del Dossier, la seconda è stata lo scorso febbraio e la prima fu la lettera di candidatura. Scadenze note da tempo, routine per ogni città candidata.
Il progetto per le Olimpiadi comincia dal sapere che uso si farà di tutto ciò che si realizza subito dopo che si è spenta la fiaccola olimpica. E’ la legacy, il criterio chiave usato dal Cio per valutare i dossier. Nel Luglio del 2015 al Cio di Losanna (presenti il sindaco e il sottosegretario De Vincenti) illustrammo un documento: «Roma Prossima, come sarà la città nei prossimi dieci anni».

Il Dossier era inserito in un Progetto di città, «Roma 2025»; l’orizzonte programmatico per le scelte urbanistiche del sindaco Marino, il 2025, che comprende oltre al Giubileo la ricorrenza dei 150 anni di Roma Capitale d’Italia, nel 2021. Programmare, in modo che ogni “evento” fosse a sostegno del progetto di città e non la città a servizio degli eventi. Il Dossier di Roma 2024 lo costruimmo su una doppia eredità, quella delle Olimpiadi del 1960 (da rimettere in gioco e per questo molto apprezzato dal Cio) e quella del 2024, da programmare. Per quest’ultima le scelte poggiavano su due criteri: il lascito non devono essere “residenze” (tanto meno se in aggiunta a quelle previste dal piano regolatore) e, il secondo, un’opportunità per affrontare e risolvere questioni strategiche. La scelta, in modo quasi naturale, cadde sulla direttrice del Tevere, a nord della via Olimpica, quella compresa tra la via Flaminia e la via Salaria, suoli pubblici per realizzare il Parco Olimpico che dopo diventava un Parco Fluviale per tutti i romani di oltre 100 ettari, e consentiva di alleggerire il peso delle funzioni direzionali che affollano i quartieri Prati-Mazzini. La prevista chiusura dell’anello ferroviario (a Tor di Quinto) portava l’acceso diretto all’alta velocità. La trasformazione in metropolitana della linea Roma-Viterbo (oggi indecente) assicurava i collegamenti con il centro, a piazzale Flaminio, e con la Linea A.

Il disegno urbanistico del Dossier era a sostegno dello sviluppo economico della città (e non il contrario). A nord il Parco Olimpico e gli uffici giudiziari, a est il comprensorio direzionale di Pietralata (Istat, La Sapienza…) direttamente accessibile dalla metro B e dalla stazione dell’alta velocità di Tiburtina, (con la sede di Bnp Paribas), poi lungo la Colombo l’area attorno alla sede della Regione Lazio, l’Eur con il recupero delle Torri, e ancora il centro direzionale di Tor di Valle e da qui verso l’aeroporto. Solo funzioni direzionali che a Roma paradossalmente mancano, e senza consumare suolo. Per gli impianti sportivi il Dossier era improntato alla stessa logica: recupero dell’esistente (Foro Italico e Flaminio), a Tor Vergata si completava la seconda vela per il Palasport mentre quella esistente diventava la Facoltà di Scienze di Tor Vergata. E poi l’Eur, il Palasport, la Fiera e soprattutto l’incanto dell’area centrale, il Circo Massimo, il palazzo di via dei Cerchi (per il media center) e poi restituito all’uso museale, il Colosseo, le Terme di Caracalla. Un disegno urbano che coinvolgeva tutta la città.

A un anno dalla riunione dell’11 settembre 2015 che ha sancito la fine di tutto, quella in cui Malagò e Montezemolo s’impuntarono sul villaggio degli atleti: «si può fare solo a Tor Vergata», «il lascito sono alloggi per studenti e per ospitare i parenti dei malati del policlinico», siamo ancora allo stesso punto, garantirsi che siano Olimpiadi per la città e non la città usata per le Olimpiadi di pochi. Dire sì non significa necessariamente cedere, se si recupera la centralità di Roma nel Progetto Olimpico e nel Dossier si può fare. Diversamente si dica no, non è difficile, basta una lettera.

*Professore di Urbanistica all’Università Roma Tre, è stato Assessore alla trasformazione urbana di Roma Capitale

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