La Corte si rimette al popolo

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Meglio non decidere: la Corte costituzionale ha rinviato l’udienza del 4 ottobre sull’Italicum. Una mossa tutta politica, nascosta dietro la volontà di non interferire con il calendario politico, e cioè con il referendum costituzionale. La data del referendum – 27 novembre o 4 dicembre – sarà finalmente comunicata dal governo lunedì. Ma a questo punto il giudizio degli elettori sulla nuova costituzione dovrà prescindere dal giudizio dei giudici sull’altra gamba delle riforme renziane, la legge elettorale.

La prevedibile bocciatura alla vigila del voto sarebbe stata un colpo troppo pesante al governo, Renzi sull’Italicum aveva messo la fiducia. Con buona pace dei teorici della «riduzione del danno», secondo i quali un buffetto della Consulta all’Italicum avrebbe chiarito agli elettori che la legge elettorale andava cambiata e dunque aiutato Renzi nella caccia al Sì. Non sarebbe stato e non poteva essere un buffetto, perché l’Italicum ha molti difetti in comune con la vecchia legge elettorale, già abbattuta dai giudici. Così è arrivato il rinvio.

Un rinvio leggibile politicamente, inconsueto dal punto di vista delle abitudini della Corte. Arriva infatti a sole due settimane da un’udienza più volte confermata. Di fronte e ripetute pressioni, il presidente Paolo Grossi ha riunito ieri il plenum e ha preso atto di una maggioranza favorevole al rinvio. Una maggioranza esigua, ma battagliera, capitanata dai giudici Amato e Barbera, quest’ultimo tra i più entusiasti delle riforme renziane.

La Corte non ha motivato le ragioni del rinvio. Bisogna ricorrere alle indiscrezioni, che non mancano. Come non mancherebbero gli appigli formali per giustificare la decisione di aspettare il referendum costituzionale.

Tutti però già ben presenti ad aprile, quando in piena autonomia il presidente Grossi aveva fissato l’udienza sull’Italicum al 4 ottobre. Renzi ha sempre temuto quel giudizio, tant’è che prima dell’estate aveva anche ipotizzato di bruciarlo convocando il referendum subito prima dell’udienza, il 2 ottobre. Ma i suoi piani sono cambiati quando si è accorto di aver bisogno di tempo per risalire nei sondaggi. La Corte gli ha tolto il problema con la maggioranza dei giudici che ha costretto il presidente alla retromarcia. La tentazione era presente da tempo (il manifesto l’aveva raccontata oltre un mese fa) ma fino a ieri Grossi aveva resistito.

Aspettare il referendum consentirà alla Corte di conoscere il quadro istituzionale in cui eventualmente l’Italicum si applicherebbe, con una o due camere elettive. E soprattutto il quadro politico, con Renzi trionfatore o affondato. La vittoria del Sì aprirebbe anche la strada al ricorso diretto delle minoranze parlamentari sul complesso della legge elettorale. Si tratta di una misura immediatamente operativa, per cui in caso di approvazione popolare della riforma si può star certi che entro 10 giorni 158 deputati o 107 senatori chiederanno il giudizio «preventivo» di legittimità sull’Italicum, e la Corte dovrebbe esprimersi entro 30 giorni. E cioè entro il prossimo gennaio. Il che significa che se vincerà il Sì la decisione di ieri più che un rinvio è una rinuncia dei giudici costituzionali ad esprimersi sui punti sollevati dai tribunali.

Alla Consulta sono arrivate tre ordinanze di rinvio, due delle quali – Messina e Torino – erano iscritte a ruolo per l’udienza del 4 ottobre, adesso rinviata. La terza, Perugia, non ha fatto in tempo (è di undici giorni fa) e potrebbe essere alla fine una delle ragioni formali dello slittamento. Solo formale, dal momento che le questioni di costituzionalità sollevate dal giudice di Perugia sono esattamente le stesse già sollevate dalla giudice di Torino. Ma altri tribunali (sono ancora 13 quelli che si sono «riservati») potrebbero a questo punto aggiungersi. E nel frattempo Renzi è riuscito a dare l’impressione di voler ridiscutere l’Italicum, anche se non accadrà niente di concreto prima del referendum. Se non la discussione cominciata ieri sulla mozione di Sinistra italiana, a questo punto perfino utile al governo.

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