La via giudiziaria: «Stop al referendum su un solo quesito»

by Andrea Fabozzi, il manifesto | 12 Ottobre 2016 9:44

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Piovono ricorsi contro il referendum costituzionale, nella speranza di alzare una diga giudiziaria laddove sono falliti tutti i tentativi politici di frenare la corsa del presidente del Consiglio. Il ricorso, anzi i ricorsi, di ieri si segnalano soprattutto perché a proporli è l’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Costituzionalista autorevole, avversario della riforma costituzionale Renzi-Boschi, sei mesi fa aveva promosso un appello per il No sottoscritto da 55 suoi colleghi che si concludeva con una nota critica sul quesito referendario, che essendo unico «fa prevalere in un senso o nell’altro ragioni politiche estranee al merito della legge». Per la stessa ragione, e cioè per tutelare il diritto al voto libero che un solo Sì o un solo No su una riforma complessa non garantiscono, ieri Onida ha depositato un ricorso al tribunale civile di Milano con procedura d’urgenza e uno al Tar del Lazio,

I «processi» al referendum si accavallano. A Milano pende quello sollevato dagli avvocati Tani, Bozzi e Zecca per le identiche ragioni sostenute adesso da Onida – il manifesto ne aveva parlato il 22 settembre -, la prossima udienza è prevista per il 20 ottobre a meno che la prima sezione civile non decida di unificare i procedimenti (cosa che allungherebbe i tempi e Onida non si augura affatto). La richiesta alla giudice in entrambi i casi è che venga rimessa alla Corte costituzionale la legge 352 del 1970 che disciplina i referendum, nella parte in cui non prevede l’obbligo di quesiti omogenei e la possibilità di più quesiti differenziati anche per il referendum costituzionale (com’è per il referendum abrogativo, dopo due sentenze del 1978 e del 1987 della Corte costituzionale). Il tribunale civile però, quando anche decidesse di investire la Consulta, non può fermare il treno del referendum, in calendario il 4 dicembre. Ed è impossibile che la Corte decida in tempo. Al più si porrebbe un problema politico, e cioè quello di far votare gli italiani per cambiare la Costituzione su un quesito che potrebbe essere, poi, dichiarato incostituzionale.

Il Tar potrebbe invece sospendere il decreto del presidente della Repubblica che ha convocato le urne, e dunque il referendum. È quello che chiede Onida, come già prima di lui gli avvocati Palumbo e Bozzi e i parlamentari di Sel e M5S De Petris e Toninelli. Questi ultimi hanno chiesto al giudice amministrativo una decisione urgente nel merito, sollevando il problema del quesito sulla scheda, giudicato ingannevole e non rispettoso della legge (che è sempre la stessa 353/70) perché non riporta l’elenco degli articoli della Costituzione che sarebbero modificati dalla riforma. Sul punto il Tar deciderà il prossimo 17 ottobre e in teoria potrebbe ordinare una riformulazione del quesito, facendo inevitabilmente slittare la data del referendum. Onida, e con lui Barbara Randazzo, docente di diritto pubblico a Milano, chiedono invece che anche il Tar rimetta la questione della costituzionalità della legge sul referendum alla Consulta, ma che soprattutto nel frattempo sospenda il decreto del presidente della Repubblica e dunque questo referendum. Altrimenti, si spiega nel ricorso, il diritto al voto libero sarebbe irreparabilmente leso.

Onida, da ex presidente della Consulta che cita in giudizio il presidente della Repubblica e mezzo governo (per ragioni tecniche), ha contato ben dieci «aspetti autonomi» contenuti nella riforma – dalle modifiche al senato all’elezione del capo dello stato, dall’abolizione del Cnel alle novità nei rapporti stato-regioni – sui quali considera sbagliato chiedere agli elettori un solo Sì o un solo No. Ma non trascura di criticare la formula messa a punto dagli uffici del Quirinale nel decreto firmato da Mattarella, dove si parla di «referendum confermativo» cedendo alla retorica renziana, quando il referendum costituzionale è semmai oppositivo: «La circostanza che in questo caso sia stato chiesto anche dalla maggioranza non può avere l’effetto di trasformare la natura della consultazione».

A sostegno dell’iniziativa di Onida si è mossa la rete degli avvocati «anti-Italicum» di Felice Besostri, che ha già portato la legge elettorale davanti alla Consulta. Ricorsi analoghi saranno presentati in altri tribunali italiani, tra i primi Trieste, Genova, Perugia Napoli e Salerno. E venerdì arriverà al Tar del Lazio un nuovo ricorso contro il quesito unico, firmato questa volta dai radicali Magi e Staderini e dal professor Lanchester.

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