L’Europa riforma Dublino, norme più dure per rifugiati

L’Europa riforma Dublino, norme più dure per rifugiati

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È l’esatto contrario di quanto l’Italia sta chiedendo a Bruxelles da anni, la dimostrazione di come gli egoismi nazionali riusciranno probabilmente ancora una volta a prevalere sul principio di solidarietà – anche tra Stati membri – che dovrebbe essere alla base dell’Unione europea. La riforma di Dublino III – il regolamento che impone al Paese di primo sbarco o di primo ingresso via terra di farsi carico dei rifugiati – sta per approdare in Commissione Libertà e Giustizia dell’Europarlamento (relatrice la svedese Cecilie Wikstrom) ma le modifiche che la Commissione europea presieduta da Jean Claude Juncker propone in una relazione di oltre cento pagine contraddicono le aspettative di Matteo Renzi e preparano un ulteriore restringimento dei diritti di quanti cercano in Europa un rifugio sicuro.

Anziché istituire un sistema unico centralizzato dividendo così la responsabilità nell’esame delle domande di protezione – come previsto da una risoluzione approvata dal parlamento di Strasburgo – le nuove norme continuano infatti a scaricare la responsabilità dell’accoglienza sui paesi di primo sbarco (Italia e Grecia in testa) e prevedono il respingimento di fatto della domanda di asilo per il richiedente asilo che si trasferisce in un paese diverso da quello in cui è arrivato. Se approvato, quindi, Dublino IV rappresenterebbe un passo indietro anche rispetto all’Agenda Immigrazione presentata da Juncker – dove si auspicava il superamento di regole che si sono rivelate un fallimento e l’istituzione delle quote obbligatorie di profughi – rappresentando allo stesso tempo per l’Europa l’ennesimo fallimento nella gestione dei migranti.

A novembre la commissione Libertà e Giustizia comincerà l’esame del testo e per il momento non sono previsti colpi di scena positivi. Oltre a confermare in pieno la responsabilità dei paesi di primo sbarco, sono previste forti limitazioni per i profughi, ai quali viene di fatto imposto di non muoversi dal paese in cui sono arrivati. Coloro che dopo aver presentato domanda di asilo decidono di trasferirsi in un altro Stato europeo, magari per raggiungere un familiare, rischiano di vedersi respingere lo status di rifugiato. Le nuove norme prevedono infatti che lo Stato a cui spetta la decisione possa, contrariamente a quanto accade oggi, esaminare la richiesta di asilo con procedura accelerata e in assenza dell’interessato, che così non potrà spiegare le proprie ragioni. «Il che significa che la domanda verrà quasi sicuramente bocciata sperando che questo possa servire da deterrente», commenta Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Ma non basta. Anche se si trova in un Paese «sbagliato», oggi un richiedente asilo ha diritto a un posto dove dormire e mangiare e all’assistenza sanitaria e legale, diritti destinati a cadere in futuro. «Rischiando così di creare una bomba sociale, con migliaia di persone abbandonate per strada senza più alcun aiuto» avverte Schiavone.

Per quanto riguarda un’eventuale distribuzione dei profughi tra gli Stati , l’unico momento in cui è prevista è quando il paese di prima accoglienza deve far fronte a un numero eccessivo di domande. I criteri per stabilire la quantità massima di richiedenti asilo che un singolo stato può ospitare si basano sulla popolazione e il Pil. Se il tetto fissato viene superato del 150% si attiva un meccanismo di distribuzione automatica i cui principi di funzionamento non sono però molto chiari. L’unica cosa certa è che non è prevista la consultazione dei parlamenti nazionali, proprio quello contro cui si sono sempre battuti i paesi dell’Est e si può escludere che possano cambiare posizione. Infine i minori non accompagnati. Anche loro potrebbero dover fare richiesta di asilo nel paese in cui sono sbarcati e non, come accade oggi, in quello in cui si trovano al momento della presentazione della domanda.

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