Goro e Calais. Profughi come merce di scambio

Goro e Calais. Profughi come merce di scambio

Loading

Nell’arrivo della lettera della Commissione Ue, tutti in preda ad collettivo «Bartleby lo scrivano», fa rabbrividire che Renzi si vanti della diversità perché «noi li salviamo» in mare». Ci mancherebbe altro dopo i cimiteri marini in Egeo e Mediterraneo e di fronte alla tragedia dei nostri centri di «accoglienza». Ma quanti ancora ne muoiono: perché insieme ai salvati arrivano le bare dei sommersi. Preoccupa che Renzi scopra ora il peso antidemocratico dei Paesi dell’Est, pronto a porre il veto al bilancio Ue se non prenderanno la ripartizione dei migranti. E minacciando che «l’Italia potrebbe non sopportare il flusso» dei disperati? Ecco che i migranti diventano merce di scambio, paravento per giustificare gli sforamenti dello zerovirgola dei bilanci nazionali tagliati dall’austerità e sotto il vincolo del fiscal compact ormai costituzionale.

Se la realtà delle leadership europee è questa, immaginate quale può essere la dimensione sociale. A Goro, nel Delta padano ferrarese – povero Bassani – fanno le barricate per impedire che 12 donne africane con otto bambini possano essere ospitati in un ostello in disuso; nelle contee britanniche rifiutano, come da governo della Brexit, i pochi minori in arrivo da Calais; fanno lo stesso nei distretti francesi dove giungono i deportati dalla «giungla». È una vergogna che il ministro degli interni Alfano per i fatti di Goro abbia permesso al prefetto di fare marcia indietro, mentre non esita a far intervenire la polizia ogni giorno contro le proteste sociali, come ieri alla mensa universitaria di Bologna.

Il fatto è che la politica dell’Unione europea sui migranti, o innalza i muri come fanno non solo a Est ormai, o è alla disperata ricerca dei «posti sicuri» dove esternalizzare l’accoglienza. Con la «riscoperta» dell’Africa – come fanno Italia, Germania e Francia -, con rapporti diretti con Paesi che violanoi diritti fondamentali degli esseri umani, come la  dittatura eritrea, il governo sudanese, egiziano, etiope, oppure la «serena» Turchia del Sultano Erdogan. Fuggono dalla miseria prodotta dal nostro modello di sfruttamento delle loro risorse e dalle nostre guerre che hanno distrutto il Medio Oriente. E lì inesorabilmente vogliamo ricacciarli.

SEGUI SUL MANIFESTO



Related Articles

Santa austerità , santa flessibilità 

Loading

Opposizione rituale del Psoe. Solo Cayo Lara, di Iu, parla della «illegalità » di una parte del debito pubblico. Oggi i ministri Tono moderato e soft, contenuto nettamente neo-liberista. Tasse, nucleare…

Turchia. Il racconto dei professori di Izmir e Diyarbakir, epurati dall’Università

Loading

“Per noi curdi c’è stato un periodo d’oro, terminato nel 2014, ci era permesso di studiare la nostra lingua madre”

La prima presidente donna di Taiwan

Loading

Taipei. Tsai Ing-wen ha vinto le elezioni in quella che Pechino considera ancora oggi «l’isola ribelle». Giurista, 59 anni, nel 2015 ha detto di essere a favore delle unioni omosessuali

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment