Tina Anselmi. Un’amica e una compagna

Tina Anselmi. Un’amica e una compagna

Loading

Un’epoca in cui l’organizzazione giovanile democristiana era fortemente influenzata dalla sua corrente di sinistra e fra noi giovani comunisti e loro ci si annusava sospettosi ma anche interessati. Ho ancora fra le foto che conservo in un pannello sulla mia scrivania quella di una cena – a Trento – in occasione del loro congresso cui io avevo assistito come «ospite» per conto della nostra federazione. Siamo ambedue giovanissime, Tina solo due anni più di me, abbastanza per aver partecipato in prima persona alla Resistenza nel suo trevigiano, con il nome di battaglia Gabriella. Entrò nelle sue file – mi raccontò – dopo aver assistito all’ assassinio di 31 partigiani. Diventammo quasi amiche, io credo che ci siamo sentite in qualche modo «compagne», se a questa parola si dà il significato dovuto e che tutt’ora io le do: non la comune appartenenza ad una organizzazione, ma a un comune sentire. Perché così è stato con Tina.

Un giorno la invitai a pranzo a casa e la presentai a mia figlia che aveva pochissimi anni. Quando le dissi che era democristiana Lucrezia mi guardò inorridita: dei democristiani lei aveva sempre sentito dire il peggio e non capiva come fosse possibile che una di loro mettesse piede a casa nostra e conversasse con me come una persona normale. Io e Tina, dello sguardo scandalizzato e perplesso di mia figlia ridemmo di cuore, Lucrezia rimase invece a lungo diffidente.

Poi lei diventò deputata, mentre io rimasi a lungo militante delle organizzazioni povere della sinistra: la Fgci, l’Udi, poi il manifesto. La cosa aveva riflessi ferroviari: la incontravo spesso, nel mio girovagare, alla stazione di Padova e lei mi diceva: «Vien, vien, che tiro zo un leto». E così venivo ospitata nel suo vagon-lit , evitando lo scomodissimo sedile dello scompartimento cui il mio biglietto mi destinava.

Non voglio dire qui che tutti i dc erano come Tina. Purtroppo no. Lei è stata una persona davvero speciale, ma che aveva comunque un tratto analogo a quello di un settore di quel maledetto partito che tanto abbiamo – e giustamente – combattuto. Una sua ala popolare e in qualche modo anticapitalista. No, non ho certo nostalgia della Dc, né del compromesso storico, che purtroppo fu un’intesa con ben altra Dc. (Ma forse anche voi lettori vi ricorderete che Luigi Pintor per molti anni metteva sempre un postscriptum ai suoi editoriali, per dire, sconsolato: «Moriremo democristiani». All’ultimo, ricordo, aveva aggiunto: «Magari»). Anche se i miei ricordi personali di Tina sono precedenti al suo ingresso nei governi Andreotti, vorrei aggiungere che sono stata molto contenta quando è diventata ministro. Come capo del dicastero della sanità, Tina contribuì infatti non poco a dare esito positivo alla lunga lotta per l’istituzione in Italia del Servizio sanitario nazionale. Se posso aggiungere una considerazione che si riferisce ad una questione politica calda, il referendum costituzionale (cosa che di solito non si fa nel contesto di una commemorazione funebre) vorrei aggiungere che quella vittoria popolare, fu possibile, come altre in quegli anni – statuto dei lavoratori, divorzio, aborto, ecc. – perché c’erano spazi per l’espressione dei conflitti e canali affinché trovassero riflesso nelle istituzioni. La forza dell’opposizione sociale, accompagnata alla presenza di una forte minoranza in parlamento a quella strettamente legata ai movimenti di lotta, consentì quella dialettica democratica che sfociò in compromessi anche molto avanzati (e che non a caso oggi siamo qui a difendere coi denti). Alla democrazia – e dunque alla società – non serve un esecutivo reso efficiente dall’assenza di intralci – ma un conflitto tanto forte da imporre un dialogo. Certo il dialogo con Tina è stato altra cosa che quello con Andreotti. Ma lei era una «compagna».



Related Articles

L’ultimo cineasta della generazione del «noi»

Loading

Ettore Scola. Il ricordo degli amici, da Vanzina a Scarpelli: «aveva assunto un ironico distacco dalla vita intorno a sé»

L’avvocato del diavolo e dell’indipendenza

Loading

Un incontro nel 2007 con Jacques Vergès, la legge contro il colonialismo 

«Il terrorismo è un’arma non un’entità. L’occidente sostiene il principio che tutti siano uguali ma la difesa dei diritti umani è sempre una questione di rapporti di forza» Un’intervista a Jacques Vergès del 2007, all’indomani della presentazione a Cannes del film «L’avocat de la terreur», uscita su «Alias» del 29 settembre 2007

Milano si ferma per l’addio a Martini

Loading

Il premier in Duomo, il saluto di 150 mila persone. Oggi funerali e lutto cittadino

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment