Periferie. La necessità di una politica umile

by Alfredo Alietti *, il manifesto | 20 Novembre 2016 19:11

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Nel 1977, un gruppo di militanti (comunisti) del Circolo Culturale Gramsci attivo nel quartiere Stadera, a Milano, sottolineava nella relazione sull’analisi delle condizioni di vita dei residenti.

«Dai dati sulla popolazione emerge l’immagine di un quartiere in declino, economicamente, socialmente e culturalmente depresso, un quartiere di pensionati con forti connotazioni operaie ma anche con nuclei consistenti di marginalità e povertà, un quartiere segnato dalle scelte classiste e antipopolari… Un ghetto periferico dove sono stati confinati immigrati dal sud e scarsamente integrati». Concludevano con un monito che risuona tuttora: «Modificare questa immagine di squallore e di povertà incidendo sulla realtà socioeconomica del quartiere sembra un compito quasi impossibile ma che dobbiamo incominciare ad affrontare».

Cosa si è fatto nei decenni successivi? Poco, quasi nulla. Anzi. Nel tempo, si sono cristallizzate le vecchie forme di esclusione e sono emerse inedite forme di marginalità sociale.

I perché sono diversi. Innanzitutto, la mancanza di una politica abitativa che ha privilegiato la proprietà e il consumo di territorio per nuove inutili costruzioni piuttosto che il rilancio dell’edilizia pubblica e del mercato dell’affitto a costi accessibili.

Tuttavia le periferie milanesi non sono abbandonate a un destino già scritto, segnato dal rancore e dalla passività. Questa rappresentazione suona stonata. Tale sguardo è l’esito di analisi affrettate che rafforzano il paradigma dell’emergenza e perseguono nella logica della stigmatizzazione.

Ciò non significa banalizzare le tangibili problematiche di illegalità e degrado che si sono concentrate dentro le periferie.

Tuttavia la periferia non è solo una terra di nessuno dove regna il disordine sociale e morale.

In quegli spazi periferici si palesa, inascoltata, una ricchezza di progettualità, associazioni e comitati di quartiere che concorrono a contrastare l’abbandono delle istituzioni e le dinamiche di vulnerabilità che colpiscono gli abitanti. Sulla base di tale trama resistente è opportuno che gli attori politici della sinistra incominciassero a ritornare in quei luoghi che li hanno visti protagonisti, con strumenti e contenuti differenti rispetto al passato, in grado di cogliere l’articolazione del disagio sedimentato negli anni. Un’azione politica umile – opposta a quella, inutile, dell’invio dei militari riproposta dal ministro dell’interno Alfano – il cui obiettivo sia promuovere spazi di ascolto e dialogo per riaffermare i diritti di cittadinanza.
* docente di sociologia urbana Università di Ferrara

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