La nostra guerra asimmetrica contro la Natura

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Sono in corso due grandi guerre: quella di uomini contro altri uomini e quella degli uomini contro la Natura. Apparentemente diverse, combattute con armi diverse, esse sono riunificate sotto il medesimo obiettivo: il dominio. La prima guerra continua oggi in modi del tutto simili al passato; la differenza sta nelle armi usate. Non più solo armi da fuoco; ora con più potenti armi finanziarie capaci di ridurre interi popoli in ginocchio, affamarli senza versare sangue.

E c’è una lotta contro la natura che ha data più recente. Allorché l’uomo, entrato nella Modernità, ha immaginato di dover essere il proprietario del pianeta che lo ha generato: il Libro della Natura è scritto nei simboli della matematica, affermava Galilei. Una guerra questa volta «giustificata» dalla necessità dello Sviluppo e del Progresso: secolo superbo e sciocco, aveva chiamato Leopardi questa nuova era di dominio dell’uomo. Ora queste due guerre si sono unificate in una sola guerra: la guerra contro il vivente, o contro il Creato (per chi ha fede), sia esso rappresentato da umani, sia da ogni forma di manifestazione della natura. A tal punto le due guerre si sono unificate, che resta difficile distinguere l’una dall’altra. I migranti ne sono prova: sono in molti a sostenere che essi sono tutti migranti ambientali, ovvero fuggono da territori diventati inospitali, per cambiamenti climatici, per eccessivo sfruttamento di risorse da parte dei Conquistatori (razza speciale di umani), per mancanza di cibo, acqua, per dittature odiose.

La seconda di queste guerre avrà una fine già segnata: la vittoria della Natura, perché è una guerra asimmetrica, perché la creatura che distrugge l’ambiente, distrugge se stessa; è come segare il ramo dell’albero su cui si è seduti. Non abbiamo un altro pianeta verso il quale emigrare: questo solo ci è dato. E’ ancora Bateson a ricordarci che viviamo in una casa di vetro e, in una casa di vetro, prima di tirare i sassi bisogna pensarci bene.

Il «mostro» è stato chiamato quella forza oscura e potente che nasce dalle viscere del pianeta e colpisce alla cieca il suolo dove si svolge la vita, scuotendolo e contorcendolo come fosse cartone; ridisegnando nuove geografie, indifferente a tutto ciò che l’uomo ha prodotto, comprese le sue opere d’arte. E già averlo definito «mostro» ci fa apparire bambini spauriti. Da sempre alla Natura è stato conferito un doppio nome: benigna quando essa ci dona i suoi frutti; maligna, e ora «mostro», quando svela il suo volto feroce. Stiamo assistendo alla scomparsa degli Appennini, qualcuno profetizza. Ma una volta gli Appennini non c’erano. Se solo si alza lo sguardo oltre gli anni che definiscono una vita, si capisce che la natura non si addomestica, ha i suoi ritmi, la sua vita: l’hanno chiamata Gaia pensandola come un gigantesco organismo vivente.

Ora è tempo di lutto e di silenzi. Il dominio sulla natura ci appare del tutto fuori misura. E fa riflettere quel pastore, o quell’anziano, che non vuole abbandonare la propria casa. C’è una saggezza, che noi moderni chiamiamo incoscienza, o peggio, ignoranza: vuole continuare a convivere col «mostro», come hanno fatto, prima di lui, i suoi antenati. Perché perdere la propria dimora, il proprio tetto e la propria terra è rimanere orfani per sempre, vuol dire morire orfani. Ci vuole un anziano o un pastore per riconoscere questa sensazione, per sentirsi in sintonia con la natura anche quando essa mostra il suo volto spietato e indifferente e ci vuole un paese dove vivere.

Convivere è il verbo giusto, dominare quello sbagliato. La Modernità ha confuso i verbi; la Natura ci restituisce le giuste coordinate. In questi giorni, incollato alla televisione, mi sono più volte fatto la stessa domanda: dove sono gli animali in quei territori devastati: che siano emigrati anche loro?

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