Licenziamenti Almaviva congelati per 3 mesi con la mediazione del governo
Che una svolta positiva alla vertenza Almaviva potesse arrivare lo si è capito quando, poco dopo le 14, il ministro dello Sviluppo Calenda ha convocato al tavolo i tre segretari di Cgil, Cisl e Uil Camusso, Furlan e Barbagallo. La trattativa era ripresa dopo due giorni di incontri andati a vuoto, ma per l’ultima carta a poche ore dalla scadenza della procedura dei 2511 licenziamenti – una mediazione scritta dal governo – serviva a questo punto la «bollinatura» dei confederali. Che hanno dato il loro ok, e in tarda serata è arrivato anche il via libera dell’azienda.
CARLO CALENDA e la viceministra Teresa Bellanova hanno proposto alle parti, che sul filo della deadline per salvare gli operatori di Roma e Napoli rimanevano distanti, di proseguire il confronto fino al prossimo 31 marzo. Ma con alcune condizioni: la prosecuzione del tavolo, spiega una nota dello stesso ministero, avverrà «con il supporto e la vigilanza del governo, sulla base del ricorso agli ammortizzatori sociali e della contestuale previsione di uscite a carattere esclusivamente volontario».
«Nel corso di questo periodo – aggiunge il ministero dello Sviluppo – le parti si impegneranno a proseguire il confronto per individuare soluzioni in tema di: recupero di efficienza e produttività in grado di allineare le sedi di Roma e Napoli alle altre sedi aziendali; interventi temporanei sul costo del lavoro. Nel frattempo il governo – è l’impegno preso da Calenda e Bellanova – proseguirà l’azione di vigilanza e sanzione come rafforzata nella legge di bilancio appena approvata con l’obiettivo di disincentivare la delocalizzazione».
Un piano che conserva, o meglio per ora «congela», tutti i 2511 posti, se si eccettua chi sceglierà di uscire volontariamente: si immagina dietro un qualche incentivo aziendale, che però, data la delicata situazione economica lamentata da Almaviva Contact, supponiamo sarebbe di piccola entità.
DALL’ALTRO LATO Almaviva ottiene l’impegno dei sindacati a misurarsi sulla produttività (è probabile che rimetta sul tavolo il nodo del telecontrollo) e soprattutto sulla riduzione – temporanea, nel periodo del risanamento – del costo del lavoro. Cioè delle retribuzioni, dei trattamenti degli operatori.
Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom avevano già aperto nell’ultima notte di trattative a un intervento sulle retribuzioni, ma il tentativo era stato sdegnosamente rifiutato dal gruppo della famiglia Tripi, che in una nota definiva la proposta «approssimativa e inconsistente», «dal valore economico risibile».
In buona sostanza il sindacato proponeva che i lavoratori rinunciassero agli scatti di anzianità per tutto il 2017, ma prevedendo una restituzione nell’anno successivo. «Appare più come un alibi che una proposta – spiega la stroncatura diffusa dall’azienda – Di fronte all’accertata evidenza critica dell’andamento operativo di Almaviva Contact, un fatturato ridotto del 50% negli ultimi quattro anni, e al progressivo aggravamento delle perdite, 28 milioni di euro nel solo 2016, la ricetta formulata dai rappresentanti sindacali sta in una mera operazione di bilancio che differirebbe di alcuni mesi una cifra pari a poche centinaia di migliaia di euro».
QUEST’ULTIMO SCONTRO prima dell’accordo finale mediato dal ministero dà la misura di come potrebbero svolgersi i prossimi tre mesi: trovare un’intesa tra la necessità dell’azienda di ridurre i costi e quella dei sindacati di tutelare i salari non sarà facile.
SUL TAVOLO INCOMBE la delocalizzazione: perché se è vero che Almaviva non porta commesse italiane in territori extra Ue, dall’altro lato ha ormai scelto di investire in Romania, a Iasi. Infatti i sindacati, accettando il nuovo «lodo» governativo, hanno chiesto all’esecutivo «di garantire la correttezza del percorso, l’effettività del negoziato e la coerenza dei comportamenti delle parti», ma soprattutto «di vigilare affinché non prosegua il trasferimento di attività di Almaviva dai siti italiani a quelli esteri, anche se comunitari, in quanto un simile comportamento falserebbe e minerebbe la credibilità stessa del negoziato».
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