Il Jobs Act nelle urne del referendum: calano gli occupati, aumentano gli inattivi
Fondazione Di Vittorio (Cgil): il 75% dei nuovi rapporti di lavoro creati è precario. Il Jobs Act, anche con il taglio degli sgravi, produce meno occupazione del 2014. 109 milioni di voucher venduti nei primi nove mesi dell’anno. Il 2016 batterà tutti i record del nuovo precariato
L’Istat rivede al rialzo la crescita annua: +1 per cento e conferma il +0,3% trimestrale, dovuto alla crescita della manifattura (+0,8%) e dei servizi (+0,1%), cala l’agricoltura dell’1,5%. E Renzi esulta su twitter postando uno spot per il sì al referendum: «La crescita italiana raggiunge il +1%. Se il paese si sblocca, faremo di più» scrive. Valutazioni entusiastiche che parlano solo di una parte della realtà, come spesso capita a Renzi. Le stime dell’Istat confermano che, su base annua, l’Italia è al penultimo posto per la crescita nell’Eurozona. Dopo di lei c’è la Lituania.
IN VISTA DEL VOTO DI DOMENICA, anche i dati Istat sull’occupazione sono stati oggetto del consueto depistaggio cognitivo. Il governo che ha speso fino a 18 miliardi di euro in tre anni per sgravare gli imprenditori dei contributi per i neo-assunti con il Jobs Act ha rialzato la bandierina. Il ministro dell’Economia Padoan si è sbilanciato con metafore astronautiche: «Gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato hanno funzionato come un motore per lanciare un razzo nello spazio”. Espressioni astronautiche a parte, i dati dimostrano che il taglio degli incentivi (da 8..040 a 3.250 euro) ha fatto crollare drasticamente gli occupati.
UNA PIÙ REALISTICA VALUTAZIONE è utile per descrivere un mercato del lavoro stagnante, «stabile» lo ha definito il ministro del lavoro Poletti. Per l’Istat a ottobre è continuata la discesa degli occupati: meno 30 mila. Calano i tempi indeterminati di 39 mila unità, mentre crescono i lavoratori a termine (7 mila). Questo significa che l’effetto dopante degli incentivi sulle statistiche è ormai esaurito, anche se su base annua il saldo occupazionale resta positivo (+174 mila).
NELLE URNE RENZI sta facendo pesare il dato complessivo degli occupati nei suoi mille e più giorni di governo: +585 mila. Se riferito al 2016, il dato indica una realtà diversa. L’aumento interessa gli over 50, non i nuovi assunti, ma coloro che avevano già un lavoro. Crolla invece la fascia più «produttiva» della forza lavoro: -126mila tra 35-49 anni e -97mila 25-34 anni. La disoccupazione giovanile cala al 36,4%, minimo dal 2012, ma il problema è che cala il tasso di occupazione: meno 0,6% in un anno, mentre quello degli over 50 cresce dell’1,4%. Sul dato dell’occupazione giovanile può avere influito il rumore prodotto da «garanzia giovani» , un altro incentivo usato dal governo per le «politiche attive». Si tratta di un programma di tirocini e stage rivolto ai giovani, utile per dimostrare la flessione della disoccupazione.
I DATI SONO SCONCERTANTI: sui circa 900 mila giovani coinvolti, meno di 600 mila sono stati «presi in carico». Dai dati del consuntivo a novembre risulta che gli assunti a tempo indeterminato sono 6.133, quelli a tempo determinato sono 445. Numeri modesti nonostante il governo abbia previsto bonus per le aziende tra 1.500 e 6mila euro ad assunto. Il fallimento del piano, sul quale a lungo ha speculato l’esecutivo Letta sotto la spinta dei socialisti europei, è accompagnato dal fallimento delle politiche dei bonus renziani alle imprese.
SUL MERCATO DEL LAVORO italiano si muovono anche gli scoraggiati e gli inattivi. I primi sono aumentati di 82 mila unità e sembrano avere incamerato i disoccupati. In un anno sono aumentati gli inattivi (+0,5%). Sono entrambi dati che parlano del precariato e del lavoro informale in cui non è escluso che abbia un ruolo anche il boom dei voucher (109 milioni nei primi 9 mesi del 2016). La stagnazione si vede dal tasso di occupazione, tra i più bassi d’Europa (58,2%). Il tasso di disoccupazione è cresciuto: dall’11,5% all’11,6% in un anno.
I DATI INPS sulle attivazioni e le cessazioni dei contratti attestano che le assunzioni a tempo determinato e quelle stagionali rappresentano oggi quasi il 75% dei nuovi rapporti di lavoro, spesso di durata molto breve, che fanno capo ad uno stesso individuo. Nel rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2016 del ministero del Lavoro si sostiene che nel 2015, nel settore privato, il 35,4% dei contratti a tempo determinato aveva una fine prevista entro un mese, ed un altro 23,7% da 1 a 3 mesi. Nei primi nove mesi del 2016 si è verificata una consistente espansione del lavoro a termine, che – insieme al lavoro stagionale- presenta una variazione netta di +462 mila unità, contro meno di 180 mila del corrispondente periodo del 2015. Escludendo i rapporti di lavoro stagionali, sostiene un report della Fondazione Di Vittorio, il saldo è di +395 mila unità, a fronte di valori nettamente inferiori nel triennio precedente. Dunque, più precari e sempre più a scadenza. Questa è la struttura del mercato del lavoro italiano rafforzata dalla «legge che ha inciso di più sulla realtà», così Renzi ha descritto il Jobs Act.
NEL 2016 LE ASSUNZIONI a tempo indeterminato (926 mila) sono inferiori al 2015 ( meno 32,3%), al 2014 ( -6,5%) e al 2013 ( -8,4%). Aumentano i precari a termine di +91 mila unità, +154 mila rispetto al 2014 +325 mila rispetto al 2013. Il Jobs Act, presentato come la riforma anti-precarietà, produce occupazione precaria in quantità inferiore rispetto al periodo in cui non c’era (2014). Paradossi della «Renzinomics», e non solo. Con «una vittoria del Sì avremo un Paese più solido» ha rilanciato Renzi. La strada, dice, sta nel «tagliare qualche poltrona di troppo nei palazzi romani e creare qualche posto in più al Sud». L’allusione è alla decontribuzione piena per i neo-assunti nel Mezzogiorno. Dal voto del 4 dicembre si capirà quanto credibili, per gli italiani, risultino ancora questi annunci.
*** Istat, la sala stampa occupata dai ricercatori precari
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