Questi dati sono al centro del XV Meeting (a Santiago) degli Stati membri del Trattato di Ottawa, l’accordo che dal 1999 vieta l’impiego, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento delle mine. Uno strumento ratificato da 162 Paesi ma non da Stati Uniti, Russia, Cina, India e Israele. Schiacciato, anno dopo anno, da conflitti e geopolitica. Per capirlo basta spiegare la mappa. «L’aumento improvviso del numero dei morti è dovuto ai conflitti armati in Libia, Siria, Ucraina e Yemen, ma pesa anche un cambiamento nelle tecniche di guerra», sottolinea Abramson: «Soprattutto in Medio Oriente è sempre più diffuso l’uso delle mine e degli “Ied”, gli ordigni improvvisati».
La responsabilità ricade anzitutto sugli Stati produttori, a cominciare da India, Myanmar, Pakistan e Corea del Sud, spesso fonte di forniture illecite ad “attori non-statali”: macellai all’opera in almeno dieci Paesi, dall’Afghanistan alla Colombia, dall’Iraq alla Nigeria, l’ultimo fronte aperto dagli islamisti di Boko Haram.
Poi c’è il crollo dei finanziamenti: un ostacolo insormontabile perché, come promesso, nel 2025 il mondo sia davvero libero dalle mine. I dati, riferiti ai 35 governi donatori, non lasciano spazio ad ambiguità. I fondi sono calati per il terzo anno di fila e per la prima volta dal 2005 siamo sotto la soglia dei 400 milioni di dollari. Per l’esattezza a 340 milioni, circa 77 in meno rispetto al 2014. Un crollo del 25 per cento, con riflessi inevitabili sulle bonifiche dei territori infestati da mine, “Ied” o bombe a grappolo. «In un anno – annotano gli esperti –l’estensione delle aree decontaminate si è ridotta da 201 a 171 chilometri quadrati principalmente a causa della forte riduzione dei fondi disponibili».