Critiche incrociate sul progetto securitario del governo, renziani in difesa

Critiche incrociate sul progetto securitario del governo, renziani in difesa

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Amnesty: «Il ricorso ai rimpatri potrebbe aumentare se si confermeranno le procedure superficiali e sommarie di valutazione dei requisiti per l’asilo»

Tra due fuochi. Il ritorno ai Cie di Minniti e Gentiloni viene preso di mira, per motivi opposti, sia da sinistra che da destra e, con qualche contorsione in più, anche dall’M5S. I renziani, dopo l’esitazione iniziale e dopo la sostanziale retromarcia del ministro rispetto al progetto annunciato qualche giorno fa, appoggiano ora con la vicesegretaria e presidente del Friuli Serracchiani la svolta securitaria.

Rispondendo al presidente della commissione Difesa del Senato Latorre, Pd, molto vicino a Minniti, che si era detto in un’intervista al Corsera «esterrefatto e colpito dalle critiche da parte di esponenti del Pd come Debora Serracchiani», la vicesegretaria cambia bruscamente marcia: «Già dalle modalità attraverso le quali si sta precisando il piano del Viminale si potrebbe capire che con Minniti c’è volontà di dialogo, approfondimento e collaborazione. Ma servono strutture piccole e agili, come dice lo stesso Latorre».

Il tema, conferma la vice di Renzi, sarà al centro della conferenza Stato-regioni del 19 gennaio e in quella sede spera «prevarrà il senso di responsabilità e la volontà di imprimere una svolta allo stato delle cose».

Un certo imbarazzo è palese a partire dalla formula «volontà di dialogo» che, se applicata a un ministro proveniente dallo stesso partito della Serracchiani, svela quanto, al netto della buona e “dialogante” volontà, la sintonia sia in buona parte ancora da ricercare.

Il nodo è politico: la riapertura dei Cie rischia di suonare come una sconfessione della politica seguita dal governo Renzi, dunque un segnale di discontinuità che è al momento quanto il gruppo di testa del Nazareno teme di più. Il punto di convergenza sta tutto in quella formula lanciata dallo stesso Minniti: Cie sì ma senza «nulla a che fare» con quelli del passato.

Anche così però la promessa del ministro non convince quasi nessuno. Amnesty conferma che la detenzione nei Cie è una violazione dei diritti umani e boccia senza appello la politica dei rimpatri: «Il ricorso a questo genere di rimpatri potrebbe aumentare se si confermeranno le procedure superficiali e sommarie di valutazione dei requisiti per l’asilo, caposaldo dell’approccio cosiddetto ‘hotspot’ e se verranno raggiunti ulteriori accordi tra l’Italia e i Paesi d’origine o di transito».

Da sinistra, Fratoianni ricorda che il modello Cie è già fallito: «Sono luoghi inumani, privi di ogni minima tutela». Critiche affilate arrivano anche dall’interno del Pd, non però dall’area renziana. Se il governatore toscano Rossi non esita a parlare di «vocazione al suicidio» della sinistra, la presidente dei Giovani democratici toscani Alessandra Nardini è anche più secca: «La riapertura dei Cie è chiusura alla ragionevolezza. È un’idea che assolutamente non condividiamo anche se si tratta di strutture diverse e più piccole».

Da destra né Lega, né Fi hanno intenzione di lasciare al governo e il Pd la facile rendita di posizione propagandistica. Ma ancora una volta i toni divergono. Il partito di Salvini considera la riapertura dei Cie un puro bluff, se non accompagnata da espulsioni in massa e respingimenti. Gli azzurri sono più morbidi. Elvira Savino capogruppo in commissione Politiche comunitarie alla Camera, promuove l’approccio Minniti come «molto più concreto» di quello precedente ma ricorda che «la sinistra ha perso tre anni». Debora Bergamini insiste per l’approvazione della mozione forzista che propone di far scontare le pene nei Paesi d’origine: «È il principale strumento per il trasferimento delle persone condannate».

Il partito di Arcore sa che nei prossimi mesi la situazione potrebbe diventare esplosiva, che sul tema il governo potrebbe avere bisogno di un appoggio esterno alla maggioranza in Parlamento e si candida a sponda “responsabile”. M5S sceglie la linea dura: «Noi vogliamo che tutti gli aventi diritto siano accolti, ma chi non dovrebbe essere in Italia deve essere rimpatriato».

È una partita appena iniziata. Nei prossimi mesi sarà molto difficile distinguere tra proposte reali e propaganda facile smerciata in vista delle elezioni. In mezzo, a farne le spese, saranno profughi e migranti.

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