Pace in Medio Oriente. A Parigi un’altra occasione perduta

Pace in Medio Oriente. A Parigi un’altra occasione perduta

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GERUSALEMME. Domenica, mentre a Parigi i rappresentanti di oltre 70 Paesi si riunivano per rilanciare la soluzione dei “Due Stati”, in Israele il deputato del Likud, Yoav Kisch, rendeva pubblico il suo “piano di pace”: fine degli Accordi di Oslo del 1993, scioglimento dell’Autorità nazionale palestinese, controllo israeliano permanente su gran parte dei territori occupati nel 1967, autonomia palestinese senza sovranità sul 39% della Cisgiordania. Qualcuno commenterà che Yoav Kisch è uno sconosciuto e, perciò, la sua proposta non vale nulla. Si sbaglia. Il parlamentare non ha fatto altro che mettere nero su bianco un piano accettabile per la destra israeliana e anche da quei partiti di opposizione, come i laburisti di Isacc Herzog, che pure chiedono la separazione “totale” dai palestinesi. «Mentre entriamo nell’era Trump, non possiamo restare passivi…considerazioni di sicurezza vietano la creazione di uno Stato palestinese sovrano», ha spiegato Kisch. «Questo piano – ha aggiunto – eviterà la creazione di uno Stato terrorista nel cuore della nostra terra e permetterà a Israele di preservare il suo carattere speciale di Stato ebraico e democratico».

La Conferenza di Parigi su Israele e Palestina è stata un fallimento. E’ rimasta lontana anni luce dalla realtà sul terreno oggi dominata dai tanti israeliani, dai ministri al cittadino comune, che sottoscriverebbero subito il piano di Kisch che ai palestinesi sotto occupazione assegna un po’ di autonomia amministrativa o uno Stato finto, senza sovranità. E perché si è rivelata un altro incontro dove i partecipanti hanno trascorso il tempo a cercare i compromessi giusti per non irritare il governo israeliano. Domenica sera, l’ufficio del premier Netanyahu non ha nascosto la soddisfazione per l’esito di una conferenza a Parigi che Israele ha condannato, bocciato e descritto come una sorta di secondo “Processo Dreyfus”. Grazie anche alle pressioni dei Paesi stretti alleati di Tel Aviv, come l’Italia, la conferenza non avrà alcun impatto. Tra un paio di giorni non ne parlerà più nessuno dopo che per mesi la Francia è andata in giro a vedere l’incontro come la strada giusta per rilanciare il negoziato e i “Due Stati”.

Fanno sorridere le dichiarazioni del ministro degli esteri francese Jean Marc Ayrault che ieri parlava di una dichiarazione «chiara ed ambiziosa che ha ricordato la necessità di impegnarsi nei negoziati nella prospettiva che i Due Stati, quello di Israele e quello di Palestina, possano vivere insieme ed in pace». È arduo crederlo. Il documento esorta le parti a non compiere mosse unilaterali che potrebbero pregiudicare il conseguimento di un accordo. Nessuno però crede questo governo israeliano sospenderà l’espansione degli insediamenti ebraici solo perché a chiederlo è la comunità internazionale che Netanyahu considera un residuo del passato che ostacola il futuro rappresentato dell’era di Donald Trump. Per i palestinesi l’appello a rinunciare a mosse unilaterali rappresenta un “no” a nuove iniziative al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che il mese scorso ha approvato una risoluzione più critica di Israele rispetto alla dichiarazione finale di Parigi.

Dal testo finale della conferenza in Francia è svanito anche il monito a Trump, intenzionato a trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme per riconoscere la città santa come la capitale unita di Israele. I rappresentanti arabi hanno chiesto che fosse inserito almeno un accenno di censura al presidente americano eletto ma alla fine hanno ceduto e Ayrault ha esposto diplomaticamente solo la Francia. Portare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme ha spiegato il ministro degli esteri «Sarebbe una decisione molto gravida di conseguenze e una provocazione». Il presidente Abu Mazen e i suoi collaboratori ora parlano di successo della conferenza che, a loro dire, ha ridato slancio alla soluzione dei “Due Stati” e alla creazione dello Stato di Palestina. Ma i palestinesi sanno bene che Parigi è stata un’altra occasione perduta, un altro bluff. Per loro è una magra consolazione il fatto l’Alto Rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, a conclusione del Consiglio d’Europa di ieri, abbia bocciato il passo annunciato da Trump per Gerusalemme. «La Ue continuerà a rispettare il consenso internazionale contenuto nella risoluzione 478 nel 1980 – ha proclamato Mogherini – Di sicuro non sposteremo la nostra delegazione, che è a Tel Aviv. Credo che sia molto importante per tutti evitare azioni unilaterali, specialmente quelle che possono avere serie conseguenze in grandi settori delle pubbliche opinioni, in grandi parti del mondo».

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