Negli USA proteste contro il muro di Trump

by Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera | 30 Gennaio 2017 9:41

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NEW YORK Per ora è solo un piccolo aggiustamento. Reince Priebus, il capo dello staff della Casa Bianca, intervistato dalla tv Nbc corregge la portata del bando contro i cittadini provenienti da sette Paesi considerati a rischio terrorismo: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen. «I titolari di una Green Card non sono interessati dal provvedimento», ha detto Priebus, aggiungendo, però: «Finora sono state fermate 190 persone, quasi tutte rilasciate. I funzionari della dogana avranno il potere discrezionale di controllare a fondo tutti coloro che vanno e vengono da quei Paesi, anche se sono cittadini americani. Non abbiamo nulla di cui scusarci».

Lo stesso Donald Trump conferma la linea dura prima con un tweet: «Il nostro Paese ha bisogno di confini molto forti e di controlli rigorosi adesso. Guardate che cosa succede in tutta Europa e nel mondo, un caos orribile». Poi, in serata, con un comunicato ufficiale: «Il mio non è un bando contro i musulmani. Ci sono altri 40 Paesi a maggioranza islamica non interessati dal provvedimento. La questione non è la religione, ma il terrorismo e la lotta per la sicurezza del Paese. Torneremo a rilasciare i visti una volta che avremo rivisto e completato le politiche più sicure nei prossimi 90 giorni».

Le correzioni di Priebus e le precisazioni di Trump arrivano dopo un sabato di affollate manifestazioni e soprattutto dopo che cinque tribunali federali hanno disposto la liberazione immediata dei viaggiatori bloccati negli aeroporti. La prima giudice ad accogliere il ricorso presentato da sette associazioni, tra le quali l’American Civil Liberties Union, è stata Ann Donnelly, della Corte di Brooklyn, sabato 28 gennaio alle ore 21. Subito dopo anche Leonie Brinkema della Corte Federale della Virginia ha ordinato agli agenti dello scalo di Dulles, vicino a Washington, di rilasciare i cittadini con la «Green Card», cioè il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Lo scontro legale si allarga: i procuratori generali di 15 Stati, più il distretto di Washington, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta contro il decreto di Trump: è incostituzionale perché comprime la libertà religiosa.

La confusione resta grande. L’ordine esecutivo di Trump, firmato il 27 gennaio, contiene indicazioni di massima. Ma le storie sono diverse e gli agenti alla frontiera si sono trovati in difficoltà. Nel dubbio hanno fermato tutti, anche i musulmani-americani che vivono da decenni negli Stati Uniti.

In questo clima si rincorrono le indiscrezioni. Secondo la Cnn, il Dipartimento di Stato vorrebbe ottenere informazioni più dettagliate anche dai visitatori provenienti da tutto il mondo, Europa compresa. Per esempio i propri contatti telefonici o la rete di amicizie sul web. Ma, va precisato, sono progetti allo studio: non c’è nulla di esecutivo.

Aumenta l’intensità delle proteste. Il «movimento degli aeroporti» si salda con «la marcia delle donne» del 21 gennaio. L’altra sera 3-4 mila persone hanno manifestato fino alle 23 davanti al Terminal 4 dell’aeroporto JFK. Ieri sit-in negli scali di Atlanta, Dallas, Los Angeles e Washington. Raduni anti Trump davanti alla Casa Bianca, a Boston, Filadelphia e di nuovo a New York, a Battery Park, da cui si vedono la Statua della Libertà e la sagoma di Ellis Islands, l’approdo dei migranti di inizio secolo. Lo slogan più ricorrente: «Questo Paese è costruito sugli immigrati».

Giuseppe Sarcina

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