Dopo il dialogo fallito tra Haftar e al-Sarraj, arriva la Nato

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Il tavolo è saltato di nuovo: in 4 giorni il premier di unità al-Sarraj e il generale ribelle Haftar si sono incontrati, hanno negato di aver raggiunto un accordo, si sono rivisti, lo hanno siglato e alla fine lo hanno stracciato. Tornato a Tripoli furioso, al-Sarraj ha chiamato il soggetto responsabile dell’attuale guerra civile, la Nato.

Il dialogo intralibico è un fallimento totale. Le due parti (lasciando fuori la galassia di milizie, tribù e islamisti) non cedono a chi vuole pacificare la Libia a modo suo, una stabilizzazione a favore dei piani esterni, che sia un freno ai migranti per Roma o il petrolio della Cirenaica per Parigi, che sia la distruzione dei movimenti islamisti per Il Cairo o un piede nel Mediterraneo per Mosca.

L’attività diplomatica del Cairo non ha sortito effetti su un Haftar convinto di godere di maggiore potere negoziale dell’avversario. I dubbi restano: secondo fonti egiziane Haftar pretende di modificare l’accordo Onu del dicembre 2015; fonti libiche parlano solo di un ritardo, che sarà colmato tra due settimane in Algeria con un nuovo vertice (a cui, scrive Agenzia Nova, dovrebbero partecipare anche tribù e milizie).

In ogni caso è rottura, l’ennesima, seguita dall’appello del governo di unità (Gna) all’alleanza atlantica. Tornate e mettete in sicurezza il paese. L’ultima volta che la Nato si è palesata ha fatto cadere Gheddafi, armato milizie che non hanno più abbandonato le armi, scoperchiato il vaso di Pandora.

La chiamata al segretario Stoltenberg è arrivata il giorno dopo l’annuncio dell’apertura di un “Hub per il sud” a Napoli, a due passi dalla costa libica (con la benedizione del nuovo Pentagono di Mattis). Al-Sarraj ha chiesto alla Nato di ricostruire le istituzioni preposte a difesa e sicurezza, ovviamente quelle tripoline.

Forze che, con l’eventuale intervento atlantico, potrebbero definitivamente scontrarsi con quelle di Haftar basate in Cirenaica (e appoggiate dalla Russia, aprendo un nuovo fronte di confronto Mosca-Nato), estromettendo il già debole ruolo Onu.

L’Italia, al contrario, potrebbe approfittarne: se la Nato interverrà lo farà con le forze di stanza nel nostro paese, già impegnato nella formazione della guardia costiera libica per respingere i migranti africani.

La Nato ne aveva discusso a luglio: «Gli alleati avevano concordato di fornire supporto se richiesto dal Gna. La richiesta è stata ricevuta, il Consiglio Atlantico discuterà come portarla avanti il più presto possibile», commenta Stoltenberg.

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Dunque, alla fine è servita la campagna del manifesto – subito aggiornata con nuovi dossier da Sbilanciamoci e sostenuta da Rifondazione comunista e Sel – contro l’acquisto prima di 130, poi di «soli» 90 cacciabombardieri F-35. È di martedì la tutt’altro che scontata dichiarazione di Bersani sulla necessità  di tagliare la spesa per gli F-35. «La nostra priorità  non sono i caccia – ha detto il leader del Pd e prossimo presidente del consiglio in pectore – ma è il lavoro, bisogna assolutamente rivedere il nostro impegno». Non è da poco, perché è un impegno e un terreno di battaglia politica.

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