Suicidio assistito. Un altro italiano morto nella clinica Dignitas

Suicidio assistito. Un altro italiano morto nella clinica Dignitas

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Intanto fa discutere e imbarazza l’autobiografia di Fabo che è stata resa pubblica ieri dall’associazione Luca Coscioni. Per il Vaticano questa vicenda è “una sconfitta per la società”. Area (magistratura) e Arci chiedono alla politica una legge che dia pieno riconoscimento all’autodeterminazione terapeutica

Certe morti proseguono. Altre verranno. Ieri l’Italia (anche il Parlamento) ha appreso la notizia della morte di un altro suo cittadino che stava soffrendo. Gianni Trez, un uomo di 65 anni. Anche lui, come dj Fabo, ha scelto di morire nella clinica svizzera Dignitas. “Come diceva sempre – ha dichiarato la moglie – è stato più facile morire che vivere senza dignità”. Anche Emanuela di Sanzo, che insieme alla figlia ha tenuto la mano a suo marito e l’ha visto sorridere, ieri ha rivolto un appello ai parlamentari: “Ora facciano una legge per impedire questi pellegrinaggi crudeli”.
Le parole di dj Fabo intanto continuano ad interrogare le coscienze di molti e ad imbarazzare la politica. Prima di morire ha scritto una sorta di autobiografia che è stata resa pubblica dall’associazione Luca Coscioni. Nel testo c’è la sua vita, la sua passione per la musica e poi il dolore senza fine. “Io, Fabiano Antoniani, nato a Milano il 9 febbraio 1977, all’età di sette anni frequento la scuola di musica per imparare a suonare la chitarra…”. Si descrive come un uomo “sempre vivace e amante della vita”, fino all’incidente. “Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione non trovando più il senso della vita”.

Sono considerazioni che non possono non toccare nel profondo anche gli uomini di chiesa, che però alzano le mani in segno di resa. Per il Vaticano, come dice il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, questa vicenda è “una sconfitta per la società”. Anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, parla di dolore e “sconfitta per tutti” ma non per questo può accettare l’idea che qualcuno possa decidere di darsi la morte. “Ognuno di noi riceve la vita – dice – non se la dà e questo è evidente e pertanto ne siamo dei servitori, dei ministri. Responsabili, intelligenti, ma senza potere mai dominare la vita nostra e tanto più degli altri”.

L’autobiografia di dj Fabo, se non per la chiesa, è un atto d’accusa per la politica e riceve ascolto soltanto dopo che la sua libera scelta ha messo fine a sofferenze inutili. Ma è un racconto che non può ricevere risposta da questo parlamento che non è in grado di colmare un vuoto che forse non è solo normativo. Gli appelli a porre rimedio si moltiplicano ma sembrano destinati a cadere nel vuoto, almeno fino alla prossima legislatura.

“Ancora una volta – si legge in una nota diffusa dal coordinamento nazionale Area, corrente della magistratura che comprende Md e Movimento per la giustizia – un drammatico caso evidenzia un vuoto normativo che permane ancorché si tratti di regolare diritti fondamentali in coerenza con principi sovranazionali e costituzionali di rispondere ad istanze ormai diffusamente avanzate dai cittadini”. Per i magistrati “la straziante vicenda umana e il suo doloroso epilogo” dovrebbero spingere la politica ad applicare proprio quei principi portando “a riconoscere la libertà di autodeterminazione negando ogni forma di obbligo di vivere incompatibile con la carta costituzionale”. Già altre volte, ricorda la nota, la giurisdizione, “non di rado accusata di supplenza da quella stessa politica che troppo spesso abdica ai propri doveri”, ha svolto il proprio compito “in precedenti dolorosi casi” ispirandosi alla carta costituzionale che tutela “la dignità umana, la libertà e la vita nel suo senso più profondo”.

Anche l’Arci chiede una legge che ambisca ad un pieno riconoscimento dell’autodeterminazione terapeutica come è indicato nella Costituzione. “E’ un paese crudele – si legge in una nota – quello che calpesta la dignità dell’essere umano. E lo fa due volte, la prima non riuscendo a garantire e tutelare la libertà dell’uomo o della donna di scegliere di andarsene con dignità, la seconda trasformando un percorso personale, di dolore e onestà, in un grande salotto televisivo”. Per l’Arci una buona legge sul testamento biologico sarebbe un primo passo importante, anche per non cedere al ricatto di chi affronta il tema con furori ideologici. “E’ una discussione complessa – si legge ancora – che rischia di essere inquinata da interventi strumentali che confondono il suicidio assistito con le dichiarazioni anticipate di trattamento, la sedazione profonda con l’eutanasia, minando qualsiasi possibilità di raggiungere con progressive consapevolezze traguardi importanti”.

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