La diga illusoria contro i partiti xenofobi

La diga illusoria contro i partiti xenofobi

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Da Berlino a Madrid, da Parigi a Roma, il voto olandese è stato accolto da esagerati sospiri di sollievo. I titoli-fotocopia dei giornali italiani dell’altroieri sembravano annunciare il miracolo: Corriere della sera: «Olanda, l’onda populista frena» (Wilders ha infatti guadagnato 5 seggi). La Stampa: «Olanda, diga contro i populisti» (il primo ministro uscente Rutte, che ha perso 8 seggi). Ma le grandi sconfitte sono le forze di centrosinistra: il partito laburista ha ottenuto il 5,7% dei voti ed è passato da 38 a 9 seggi, una disfatta storica certo non compensata dal buon risultato dei rosso-verdi, saliti da 4 a 14 seggi. Però «L’Olanda non cede al populismo» (Repubblica).

In realtà, come scriveva ieri questo giornale, l’argine olandese è assai fragile, se non altro perché i numeri sono impietosi: l’unica maggioranza possibile sembra essere una di centrodestra (l’aggiunta di laburisti o verdi non sarebbe necessaria a liberali e cristiano democratici per arrivare a quota 76, la metà più uno dei deputati).

Nelle «partite» elettorali di quest’anno l’Olanda non era certo la più importante e sarei prudente nell’affermare che i risultati di mercoledì sono «il segno di un limite, una soglia che le destre nazionaliste e xenofobe non sono in grado di valicare» (Bascetta, il manifesto di ieri). Wilders ha preso il 13% dei voti, Marine Le Pen è accreditata del 26,5% nei sondaggi sulle intenzioni di voto in Francia il 23 aprile. Certo, le previsioni sono che al ballottaggio vinca il candidato dell’establishment, l’ex banchiere Emmanuel Macron ma, dopo Trump, qualcuno ha molta fiducia nei pronostici? A questo aggiungerei che il candidato neonazista austriaco alle presidenziali del 2016 ha ottenuto il 46,2% al ballottaggio del dicembre scorso (socialisti e popolari avevano dovuto cedere il passo a verdi e neonazisti già al primo turno).

In realtà, le forze politiche tradizionali europee sono state triturate dal neoliberismo e affidano le loro speranze di sopravvivenza a patetici slogan come il «fare diga contro i populisti». Destra e sinistra insieme, non per alleviare la sofferenza sociale, invertire le rovinose politiche dell’ultimo decennio, o cercare di risolvere i problemi: no, per sopravvivere incrostate alle istituzioni. È una strategia sensata? In Italia, l’abbraccio del Pd prima con Berlusconi e poi con i transfughi di Forza Italia ha portato alla scissione del partito, in Francia il fallimento della presidenza Hollande ha trascinato con sé il primo ministro Manuel Valls, distaccato nelle primarie per la candidatura alle presidenziali dall’ex ministro Benoît Hamon, ma in una situazione di frammentazione che si manifesta nella presenza anche dell’indipendente Jean-Luc Mélenchon e della trozkista Nathalie Arthaud. Quindi al ballottaggio arriveranno probabilmente il centrista Emmanuel Macron e la leader del Front National, Marine Le Pen. Per la prima volta nella storia dal 1958 entrambi i due raggruppamenti storici (gollisti-liberali da una parte e socialisti dall’altra) saranno assenti al secondo turno di voto.

Più significativo ancora mi sembra il fatto che la Francia ha più del doppio della disoccupazione dell’Olanda, con intere regioni economicamente desertificate da decenni, e un problema con le popolazioni provenienti dalle sue ex colonie che non si limita all’immigrazione attuale ma si estende ai giovani di seconda e terza generazione cresciuti nelle periferie-ghetto, come i fratelli Kouachi, autori dell’attentato terroristico del 2015 contro il giornale Charlie-Hebdo. La triste fine della presidenza Hollande, con l’assurda minaccia di privare della nazionalità chi fosse coinvolto in atti di terrorismo e le sue leggi neoliberali sul lavoro (simili al Jobs Act di Matteo Renzi) mostra che i partiti di centro e di sinistra si sono adeguati a gran parte delle richieste dell’estrema destra xenofoba.

Terrorismo, immigrazione, paura del futuro, risentimento nei confronti delle élite continuano a dominare la politica europea e aprono la strada a spostamenti politici impensabili fino a pochi anno fa. Del resto, questi fenomeni hanno origine nella stagnazione dei salari e nell’aumento vertiginoso della disuguaglianza, che hanno gettato la maggioranza dei cittadini nell’incertezza e nell’angoscia per una condizione esistenziale precaria, sempre a rischio di fallimento. La sensazione di non poter decidere nulla, di essere in balia di istituzioni senza volto, di non poter avere fiducia in nessuno, men che meno nei politici, sono gli ingredienti che gettano le classi medie impaurite tra le braccia di Trump e dei partiti xenofobi europei.

Quando si voterà a Parigi, a Berlino e a Roma potrebbe succedere qualsiasi cosa.

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