Yanis Varoufakis: disobbediente e costruttivo

Yanis Varoufakis: disobbediente e costruttivo

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Un invito aperto a partiti, sindacati, movimenti e cittadini. Stasera a Roma Diem 25, il movimento paneuropeo fondato dall’ex ministro greco, presenta un «New Deal europeo». Un piano in due tempi: subito proposte dirompenti per l’economia e il lavoro,poi una Costituzione che sostituisca i trattati

Diem 25 (Democracy in Europe Movement), il movimento paneuropeo fondato dall’ex ministro greco dell’economia Yanis Varoufakis un anno fa a Berlino, oggi torna a Roma per presentare il suo programma economico. È il primo passo per approntare un’agenda «progressista» nella prospettiva delle elezioni europee del 2019. Entro il 2025, Diem intende «democratizzare l’Unione Europea», sempre che ne esisterà una tra otto anni. Nel frattempo propone un «dialogo» con le forze politiche esistenti per individuare una forma politica capace di dare vita a un «terzo spazio» oltre i liberismi, i sovranismi e i populismi «che vogliono recuperare un passato che non è mai esistito e vivono del rigetto dell’establishment» sostiene il co-fondatore italiano Lorenzo Marsili. Sul piatto Diem mette 60 mila iscritti in Europa, 8 mila in Italia. Oggi Varoufakis sarà alla manifestazione «La nostra Europa» che parte alle 11 da piazza Vittorio.

Dalla dichiarazione di Roma oggi non arriverà alcuna svolta per un’Europa agonizzante. Il futuro sarà l’Europa a due velocità sostenuta da Italia, Spagna, Francia e Germania, ma rifiutata dal blocco dell’Est?
Questa soluzione mi intristisce. Esiste già da molto tempo. È un revival della proposta Juncker sulle geometrie variabili dell’Unione Europea. Se questo è il futuro significa che questi politici si dichiarano già sconfitti e non sanno dove portare questo continente. Quella che stanno celebrando è la distruzione dell’Unione Europea e il suo approccio business as usual che alimenta populismo, xenofobia e reazione.

Cosa propone Diem 25 per uscire da questa impasse?
Una strategia in due tempi: ora un New Deal europeo, proposte economiche dirompenti, attuabili già da domani mattina, a trattati vigenti di cui non sono affatto orgoglioso. Dopo avere affrontato seriamente il problema della povertà di massa e della cronica mancanza di investimenti, promuovere un’assemblea costituente paneuropea che elabori una costituzione democratica e sostituisca tutti i trattati.

Un tentativo di costituzione europea è stato respinto nel 2005 dai referendum in Francia e in Olanda, soprattutto da sinistra che ha contestato la natura neoliberista di quel testo. Questo nuovo, eventuale, tentativo sarà diverso e in che modo?
Non può che essere diverso. La prospettiva è costruire una repubblica europea su base federalista e che coinvolga tanto i parlamenti quanto le autonomie locali, sempre a partire dai cittadini e dalle loro città. Questo non sarà possibile farlo finché l’Europa continuerà a disgregarsi. Non sarà possibile parlare di una simile prospettiva finché dalla Grecia alla stessa Germania ci sarà la paura di perdere il lavoro o di non trovarlo.

Cosa prevede il «New Deal europeo» che presenterà stasera alle 20 al teatro Italia di Roma?
Un piano di investimenti per la riconversione ecologica da finanziare con un nuovo uso del Quantitative Easing con il quale, oggi, la Bce di Draghi acquista titoli di stato e delle imprese. È basato su un rilancio della Banca Europea degli investimenti. La Bce dovrebbe acquistare i suoi bond per finanziare gli investimenti. Inoltre vanno assicurati i beni di prima necessità e il diritto a un alloggio degno da finanziare con i profitti delle banche centrali europee. I rendimenti del capitale e della finanza vanno socializzati.

Diem 25 si sta configurando come un movimento politico trans-europeo. Quali saranno i suoi prossimi passi?
Abbiamo rivolto un invito aperto, e non una lista di cose da fare, ai partiti, sindacati, movimenti, ai cittadini. Confrontiamoci nei prossimi due mesi. Il 25 maggio ci incontreremo alla Volksbühne di Berlino, a un anno dalla nostra fondazione, per avviare un processo politico elettorale in vista delle prossime europee. Il processo prenderà forme diverse in ogni paese per dare una declinazione nazionale dell’agenda che avremo discusso e condiviso.

Da De Magistris a numerosi esponenti delle associazioni e delle sinistre fino a D’Alema, sono numerosi i soggetti interessati a un discorso critico e rifondativo dell’Europa politica. Ma seguono opzioni non proprio convergenti. Quale spazio avrà Diem?
De Magistris ha aderito al nostro movimento, molti esponenti della sinistra italiana sono interessati. D’Alema ha iniziato a fare un discorso molto critico su quello che è diventata l’Europa. Sta a lui capire se vuole parlare con noi. Il nostro documento sul New Deal non è la bibbia, stabilisce i parametri per un confronto.

Quali sono i vostri obiettivi?
Creare un’infrastruttura che possa permettere alle sinistre, e a un’area politico-culturale più ampia, di avviare un dialogo diverso da quello che esiste oggi. È il nostro lavoro: aprire lo spazio affinché questo possa avvenire a livello continentale.

Cosa risponde a chi, da sinistra, vuole uscire dall’Euro e dall’Unione Europea?
L’Unione Europea, per com’è stata costruita, è una cattiva idea. Lo sostengo dal 1998. La Grecia non doveva entrarci. E questo non lo dico perché sono anti-europeo, ma perché era insostenibile la sua permanenza. Di questa realtà bisogna tuttavia fare un’analisi dinamica e non statica. Gli eventi sono determinati da una molteplicità di cause. Ora non basta dire che l’uscita ci porterà al punto dove l’Unione Europea non ci porterà mai. La nostra proposta è seria, modesta e internazionalista, basata su una disobbedienza costruttiva. A differenza dei left-exiters il nostro piano A non prevede l’uscita dall’Unione Europea, ma un meccanismo per gestire gli effetti negativi di una possibile disgregazione dell’Eurozona. Quando l’establishment metterà una pistola alla tempia, come ha fatto con me quando facevo il ministro dell’Economia della Grecia, allora sarà possibile dire: fallo. E ne pagherai le conseguenze. Dobbiamo condividere le responsabilità politiche e smetterla di accusarci a vicenda.

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