Europa. Le macerie di un modello distruttivo

Europa. Le macerie di un modello distruttivo

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Ha ragione Andrea Bajani con il suo bell’intervento che pubblichiamo oggi. È giusto, è doveroso riannodare le fila della ferocia di «armi economiche» che «annientano» intere popolazioni, verso la quale spesso gli scrittori europei hanno taciuto, a partire dalla sensazione delle rovine subite, quelle della Seconda guerra mondiale nel cuore d’Europa. Ma resta sorprendente che l’esercizio del silenzio sul flagello bellico si sia riproposto anche nella storia in corso.

Perché, dirla contemporanea sembra già passata.

Nei venti anni che ci stanno alle spalle infatti a partire dal campo della inclusione ed esclusione economica, l’Europa in via di definizione sovranazionale – da Maastricht in poi – ha generato nuovi conflitti armati. E una violenza inaudita contro gli ultimi, i disperati in fuga sui barconi che approdano, navigano e muoiono dentro un Mediterraneo irriconoscibile e verso co0nfini che abbiamo riempito di nuovi muri di Stato.

COSÌ VALE LA PENA non tacere che è una menzogna, ormai trasformata in ideologia (falsa coscienza), l’affermazione delle leadesrhip europee – soprattutto di quelle italiane, Renzi e Gentiloni l’ahho spesso ripetuto come un mantra – che vantano istituzioni comunitarie che avrebbero «garantito la pace» in Europa.

CERTO SU BERLINO – tornata dopo l’89 e il crollo del suo Muro, cuore politico ed economico pulsante d’Europa – non piovono più bombe e nelle Ardenne non si combatte. Ma il flagello della guerra è stato sapientemente fatto ricadere in un spazio storicamente interno-esterno all’Europa geo-strategica. Nel sud est europeo dei Balcani e alla frontiera russa con l’Ucraina. Non lontano ma in un fronte vicinissimo, anzi prossimo.

OPPURE, ANCORA una volta, nella riedizione della dimensione coloniale, soprattutto per quello che riguarda il ruolo della Francia che ha di fatto riattivato con le aree dell’Africa centrale (Mali, Ciad, Niger e Burkina, Senegal e Costa d’Avorio) il tradizionale rapporto di subordinazione economica e imperiale. O per emulazione di potenza, al seguito di coalizioni internazionali armate fino ai denti, in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria. Lì l’Europa ha costrutio nuove macerie e una stagione di sangue, divisioni e morte spesso insieme – non contro – il terrorsimo jihadista.

MA NEL PRIMO CASO, quello dello spazio di fatto europeo, com’è potuta tornare la guerra guerreggiata, con decine di migliaia di vittime e nuove, nuovissime rovine?

SOLO SE SI DECIDE di non tacere, si scopre che l’immaginario che annuncia «Abbiamo garantito la pace in questi 60 anni», nasconde la promozione dell’evento bellico come evento necessario. Anzi fondativo della cosiddetta nuova Europa.

È QUEL CHE ACCADE alla fine del 1991, quando la Commissione Badinter, intorno alla stagione di Maastricht, appena alla fine della Cee e in vista della costruenda Unione europea, decise di stabilire il criterio per il riconoscimento delle indipendenze che via via si proclamavano nella crisi precipitosa dell’Est e di fronte al crollo che si annunciava dell’Unione sovietica. Erano questi i criteri: nessuna unilateralità, nessun metodo anti-democratico e nessuno uso della violenza. Dopo due mesi la Germania insieme al Vaticano e poi con seguito immediato dei Paesi europei, riconosceva le indipendenze degli Stati di Slovenia e Croazia che si erano proclamate sulla base della «slovenicità» e della «croaticità», usando l’attacco armato delle milizie nazionaliste contro quel poco di unitario che ancora esisteva della Federazione jugoslava. Fu l’inizio della fine che subito si sarebbe riversato sulla Bosnia Erzegovina che in piccolo riproduceva il mosaico fragile dell’intera Jugoslavia.

SULLA DISTRUZIONE della Federazione jugoslava si sono costruiti lo spazio, le leadership e le sfere d’influenza dell’Unione europea nascente. E dopo cinque anni di guerra civile intestina, provocata dall’esterno e agita dai criminali nazionalisti di ogni parte, è arrivata la «guerra umanitaria» di due mesi e mezzo di bombardamenti aerei su città e obiettivi civili che appartengono alla storia d’Europa come Belgrado.

POI, NEMMENO un decennio e mezzo dopo, la vicenda si è ripetuta con la crisi ucraina, ma nel pieno non di una fase espansiva ma mentre le cancellerie del Vecchio Continente correvano ancora ai ripari della crisi economica-finanziaria che nel 2009 ha devastato l’Occidente e che è ancora tutt’altro risolta.

IL GOVERNO DI KIEV in difficoltà economica a sua volta si rivolse alla Commissione Ue che, pure consapevole dei legami storici ed economici dell’Ucraina con la Russia, pretese una scelta di campo per addivenire alla elargizione del credito, agitando irresponsabilmente il miraggio di un ingresso nell’Unione solo se i legami con Mosca fossero stati spezzati. La rivolta in piazza Majdan, l’attivazione dell’estrema destra razzista ucraina, il ruolo delle intelligence Usa a Majidan con il suo capo John Brennan e dell’Alleanza atlantica, la cacciata di Yanukovich, la reazione russa con l’annessione della Crimea dopo referendum popolare, l’ascesa al potere con il sostegno Ue del «cioccolataio» Poroshenko, la ribellione del Dondass dopo referendum popolare.

QUESTA LA TRISTE LITANIA degli avvenimenti. Ma dietro la loro esplosione c’è l’istigazione alla divisione e insieme la volontà di esclusione- annessione che caratterizza la struttura centrale, la composizione, di quella che chiamiamo Unione europea realizzata. All’ombra di un organismo militare atlantico che allestisce nuovi conflitti armati. Questa è l’ideologia dell’«abbiamo garantito la pace».

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