Sulle droghe l’Onu tergiversa, aspettando il 2019
“Mettere l’uomo al centro delle politiche in materia di droga” questo il filo conduttore dell’intervento dell’Ambasciatrice Maria Assunta Accili davanti alla plenaria dell’Italia alla 60esima sessione della Commissione Droghe dell’Onu, la Cnd, che si è chiusa il 17 marzo scorso a Vienna.
«Coinvolgere la società civile e la comunità scientifica nella formulazione di politiche antidroga», «investire in prevenzione« per «proteggere gruppi vulnerabili» e lottare contro la «povertà e a favore dello sviluppo alternativo per lotta alla produzione illegale droga», questi i punti salienti dell’intervento dell’Italia.
La Cnd appena conclusa è la prima che segue la Sessione Speciale dell’Assemblea generale sulle droghe, Ungass, dell’aprile scorso.
Sebbene al Palazzo di Vetro fosse stato raggiunto un accordo su una dichiarazione di 22 pagine, la riunione di Vienna non è sembrata accorgersene. Secondo le intenzioni degli anni scorsi la Ungass del 2016 avrebbe dovuto rappresentare una tappa verso la celebrazione del decennale dell’adozione della «dichiarazione politica» del 2009 per fare il punto sul «controllo internazionale delle droghe».
Una buona parte dei paesi proibizionisti, guidati dalla Russia – che nel 2010 ha fatto eleggere il proprio Yuri Fedetov alla guida dell’Ufficio Onu per le droghe e il crimine -, ritiene che il documento da preparare per l’incontro del 2019 debba esser modellato sulla dichiarazione del 2009 e che non si debba convocare una vera e propria Ungass. Europa e America latina, pur concordando che a marzo del 2019 possa esser sufficiente un segmento ministeriale, ritengono che il documento di New York sia un punto di partenza e non un incidente di percorso.
La dichiarazione dell’Ungass era incentrata sul rispetto dei diritti umani e la flessibilità delle Convenzioni, promuoveva la proporzionalità delle pene, suggeriva la depenalizzazione dell’uso personale (ma non del possesso) e lanciava un accorato appello per l’accesso alle medicine essenziali nei paesi poveri. Poco di nuovo per chi già fa ma moltissimo per la stragrande maggioranza degli Stati Membri dell’Onu. Tornare al 2009 equivarrebbe a cancellare sette anni di faticosi progressi.
Come sempre a Vienna si sono tenuti incontri paralleli, il più partecipato è stato quello che ha fatto il punto sull’accordo di pace in Colombia, che in buona parte ruota attorno alla sostituzione ed eradicazione delle colture di foglia di coca che da sempre finanziano Farc e gruppi para-militari. La Cina si candida a coordinare la lotta al narco-traffico tra i paesi bagnati dal Mekong, mentre Francia e Norvegia hanno tenuto bordone alle proposte di Singapore. L’Italia si è invece bilanciata tra la pericolosità dell’uso della cannabis da parte degli adolescenti con il professor Gaetano Di Chiara e i trattamenti di consumatori che entrano nel circuito penale con il professor Icro Maremmani. Due relatori con percorsi e competenze diverse se non contrapposte. Le Ong hanno discusso di regolamentazione, sviluppo alternativo, alternative al carcere e guerra alla droga nelle Filippine (vedi questa rubrica del 22 marzo).
Nel chiudere i lavori lo zar antidroga Fedetov ha affermato che «ci siamo assunti un impegno in linea con le Convenzioni per la salute e il benessere delle persone e delle comunità di tutto il mondo» invitando i presenti a mantenere «la promessa fatta a milioni di bambini, donne e uomini».
Come tutto ciò possa essere mantenuto continuando a escludere una valutazione dell’impatto globale del proibizionismo resta un mistero che, con questi chiari di luna, non verrà svelato neanche nel 2019.
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