Pensionati, l’impoverimento fa saltare i pasti

by redazione | 4 Aprile 2017 9:24

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Sono il cuscinetto della crisi. L’inesistenza di un welfare moderno e universale ha reso i pensionati italiani il sostegno a figli e familiari disoccupati, precari o inoccupati. La ricerca «Pensa a cosa mangi» promossa dallo Spi Cgil, in collaborazione con Auser, condotta dalla Fondazione Di Vittorio sarà presentata oggi all’Università di Scienze Gastronomiche di Bra (Cuneo) e conferma gli effetti del blocco delle rivalutazioni degli assegni pensionistici medi e medio-bassi. L’impoverimento spinge il 17,5% degli anziani intervistati (su 7.241 persone, età media tra 69 e 70 anni) a saltare il pranzo o la cena a causa dei redditi inadeguati. A farne le spese sono le donne, soprattutto vedove, che nel 20% dei casi hanno dovuto rinunciare a pasti e consumi contro il 15,5% degli uomini. Questi dati pesano di più tra le persone meno istruite e tra chi ha le pensioni più basse al Sud e nelle isole alla luce di una generale diminuzione della spesa alimentare di 136 euro dall’inizio della crisi. Il 57% delle famiglie italiane ha diminuito la quantità e la qualità della spesa. Non solo i pensionati poveri tra i 500 e gli 800 euro al mese, ma anche quelli che hanno assegno tra gli 800 e i 1200 euro hanno dovuto ridimensionare i consumi.

La situazione va considerata nel quadro più ampio descritto dai dati dell’Osservatorio pensioni dell’Inps di giovedì 30 marzo: sei pensionati su dieci in Italia vivono al di sotto della soglia di povertà perché percepiscono meno di 750 euro al mese. Tra le donne la percentuale aumenta. Secondo l’Osservatorio pensioni dell’Inps raggiunge il 76,5%.

Le pensioni basse sono un’emergenza nazionale che inducono i loro titolari a rinunciare a un’alimentazione regolare e alle cure mediche o dentistiche mentre, con gli stessi soldi, cercano di supplire alla mancanza di un reddito minimo universale – o di un reddito di base – fondamentale per tutelare la dignità dei figli e dei nipoti sul mercato del lavoro. Alla luce di questo atroce paradosso le differenze di classe emergono anche a tavola. I bassi redditi da pensione si associano a una cattiva e scarsa alimentazione. I redditi più alti invece mantengono una maggiore qualità e varietà della dieta e sono anche quelli più aperti a modalità di spesa nei mercati a Km0 o a gruppi di acquisto.

Dall’analisi dei consumi emerge un’altra «frattura sociale»: tra coloro che hanno un reddito basso è il 54,8% a fare la spesa al supermercato, si attesta al 90% tra chi ha pensioni superiori a 1.500 euro. I discount sono frequentati dal 33,7% delle persone che dichiarano pensioni tra 500 e 800 euro e dal 16,5% dei pensionati con 1.500 euro al mese. Emergono differenze anche tra chi è in coppia e chi è solo. Chi convive con coniuge e figli può contare su un’organizzazione più dinamica. Chi vive solo fa spesa al discount. Con il crescere dell’età aumenta la frequentazione dei luoghi di prossimità come negozi e mercati rionali, mentre cala la spesa nei supermercati (dall’86% per i 60-4enni al 61% per i 74-9enni).

Quando la disuguaglianza è servita a tavola emergono le differenze tra gli alimenti assunti. Chi ha un reddito basso consuma carne fresca nel 50,5% dei casi contro il 66,2% di chi può invece contare su assegni superiori ai 1.500 euro mensili. Chi ha una pensione bassa e vive da solo mangia carne fresca più di una volta a settimana solo nel 44% dei casi. Per quanto riguarda la verdura e gli ortaggi i pensionati poveri soli li mangiano nel 13% dei casi. Quelli che percepiscono un assegno superiore ai 1500 euro hanno una dieta più ricca nel 36% dei casi. Dunque chi è solo, e povero, ha una dieta meno variegata su pasta, cereali e derivati, carni e frutta fresca. Più frequenta il consumo di alimenti a buon mercato come legumi e uova.

Il sindacato dei pensionati Cgil punta sulla «contrattazione sociale» per sostenere i redditi più bassi e sviluppare interventi territoriali e affrontare questo aspetto della crisi del ceto medio impoverito.

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