Precarietà: Garanzia giovani bocciata dalla Corte dei Conti europea

Precarietà: Garanzia giovani bocciata dalla Corte dei Conti europea

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Nell’ultima legislatura, da Letta a Renzi-Gentiloni, i governi hanno puntato sul programma «garanzia giovani» per contrastare la disoccupazione e l’inattività giovanile. Da gennaio 2014, quando il programma è diventato operativo dopo l’approvazione in un vertice europeo dell’aprile 2013, l’idea di offrire impiego, formazione, tirocinio o apprendistato a tutti gli under-25 europei (under 29 in Italia) entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio del periodo di disoccupazione è sembrata la chiave che apriva tutte le porte per un’occupazione. Precaria.

IN UN DETTAGLIATO rapporto ieri la Corte dei Conti dell’Unione Europea ha bocciato l’uso e gli esiti raggiunti da questo programma. Oltre all’Italia, risultati deludenti sono stati registrati in Irlanda, Spagna, Francia, Croazia, Portogallo e Slovacchia. Il nostro paese si è classificato ultimo in questo singolare «campionato». Per la Corte, ad oggi, la garanzia giovani non ha ridotto il numero degli inattivi, che infatti aumentano ed è il più elevato tra i giovani dell’intero continente. A tre anni dall’adozione del progetto, le promesse dei governi non sono state mantenute e «le aspettative non sono state rispettate».

LA PLATEA DEI «NEET», gli under 29 che in Italia «non studiano, né lavorano», non è mai stata raggiunta nella sua interezza, almeno quella conosciuta dalle statistiche ufficiali. Il principale problema che ha impedito l’applicazione di questa agenda che mira all’attivazione dei soggetti considerati «occupabili» in un mercato stabilmente precario è stato prodotto dalla creazione di un nuovo database al quale gli interessati devono registrarsi, ignorando le piattaforme già esistenti. Secondo la Corte Ue questo ha portato a un «basso livello di partecipazione» e a un «peso amministrativo non necessario». I giovani già «scoraggiati» dalla partecipazione a un’economia della promessa che non porta a nulla, se non a un nuovo precariato, sono stati ulteriormente scoraggiati da questa complicazione burocratica. Prima della nascita della «Garanzia Giovani» i «Neet» italiani registrati nei database dei disoccupati erano 925mila, il 38% dei totali, percentuale precipitata al 2% nel 2014 e risalita al 9% nel 2015.

I GOVERNI ITALIANI non hanno previsto nessuna forma di incentivo, né di tutela come invece accaduto in Irlanda che ha riconosciuto ai ragazzi un sussidio. Va anche registrato che, dal punto di vista dei precari, si è rinunciato alla partecipazione ai progetti a causa della carenza delle prospettive lavorative.

«L’OCCUPAZIONE è la destinazione più comune per le “uscite positive” in tutti gli Stati membri visitati, eccetto l’Italia» si legge nela relazione della Corte dei Conti Ue. Nei sette Paesi analizzati l’80% dei giovani «riattivati» sul mercato del lavoro precario ha trovato una qualche forma di occupazione: 90% in Francia, 86% in Croazia. L’Italia è ferma al 31%, meno della metà dell’Irlanda, penultima con il 64%. Che cosa offre la «Garanzia giovani» ai pochi che hanno accettato il programma? Nel 54% dei casi solo tirocini per chi è riuscito a superare una selezione articolata in ben quattro fasi diverse. La media dei sette paesi è del 13%. Senza contare i ritardi dei pagamenti, in media dopo 64 giorni. In pratica, in Italia per una piccola minoranza di giovani precari il programma ha garantito un’altra forma di precariato.

LA CORTE DEI CONTI raccomanda di fissare obiettivi raggiungibili e fare analisi sui costi prima di mettere a punto gli schemi di intervento per future iniziative per il contrasto della disoccupazione giovanile. Nessuno dei sette paesi presi in considerazione ha fatto una valutazione sui costi per far funzionare il progetto. Il fallimento è dunque su tutta la linea: non solo sociale, ma anche economico.

IL FALLIMENTO dell’economia della promessa che governa il precariato in Europa. è stato registrato da Iliana Ivanova, membro della Corte Ue responsabile della relazione: «I responsabili delle politiche – ha detto – dovrebbero fare in modo che i programmi volti ad aiutare i giovani non suscitino aspettative che non possono essere soddisfatte».

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