Per Kabul la bomba di Trump ha colpito solo militanti Isis

by Emanuele Giordana, il manifesto | 15 Aprile 2017 10:14

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Il giorno dopo la “madre di tutte le bombe”, elicotteri da combattimento americani continuano l’operazione di pulizia iniziata nella provincia di Nangarhar giovedì sera, nel distretto di Achin, dove tunnel costruiti dai mujaheddin durante la guerra contro i sovietici (con soldi americani, ha denunciato ieri con un tweet Edward Snowden) sarebbero adesso i rifugi tattici degli uomini dello Stato Islamico in Afghanistan.

Il distretto è abbastanza disabitato e, stando alle dichiarazioni del governo, nella zona del bombardamento (il villaggio di Mohmand Dara) viveva una sola famiglia afghana evacuata per tempo. Secondo Kabul non ci sarebbero state vittime civili nell’attacco ma solo militanti del “califfato”.

I morti sarebbero quasi una quarantina su settanta possibili obiettivi ma il bilancio è probabilmente provvisorio, come provvisorie potrebbero essere le notizie sulle vittime civili che, male che vada, devono aver perso raccolti e abitazioni nell’operazione che ha visto il lancio di una bomba da undici tonnellate di esplosivo costata al contribuente americano 15 milioni di dollari.

Le reazioni all’operazione, avvenuta alla vigilia della conferenza sull’Afghanistan voluta dalla Russia e che si sta svolgendo a Mosca, sono di tipo diverso: il governo è compatto e compiaciuto.

È ormai da tempo schiacciato sulle scelte americane e del resto appoggia l’escalation di raid aerei in corso da oltre un anno, tanto che dal palazzo presidenziale si è appreso che la bomba americana serviva come appoggio alle operazioni dell’esercito nazionale.

Non è un mistero che l’esecutivo a due teste di Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah stia aspettando l’arrivo del consigliere per la sicurezza di Trump con la speranza che gli americani (che hanno ora in Afghanistan 8.500 soldati accanto a poco meno di 5mila militari Nato di cui mille italiani) decidano, in controtendenza con Obama, di aumentare il contingente militare.

Per Ghani sarebbe un sollievo, più che per la guerra, per l’iniezione di denaro fresco che l’arrivo di un nuovo contingente verrebbe a significare in un’economia sempre più asfittica dopo che la Nato se n’è andata lasciando solo il ricordo dei bei tempi in cui nel paese stazionavano oltre 100mila soldati stranieri.

L’opposizione più violenta al raid viene dal vecchio presidente Hamid Karzai che ha usato parole durissime sostenendo che per gli americani l’Afghanistan è solo un territorio dove testare nuove armi.

Gli ha fatto eco l’inviato speciale per il Pakistan Umar Zakehlwal che ha bocciato la bomba come «riprovevole e controproducente».

Le reazioni della gente della strada infine – raccolte dalla stampa locale – sono diverse: chi è d’accordo, chi pensa che in realtà gli americani abbiano bombardato per i loro fini e non per aiutare gli afghani, chi invece pensa – ha detto uno studente di Kabul – che la bomba fosse diretta a Mosca.

Quella del giovane studente sembra in effetti la lettura più interessante: alla conferenza sull’Afghanistan che si è aperta oggi a Mosca gli americani avevano opposto un secco diniego all’invito russo in un clima di nervosismo per le avance dei russi verso il vecchio paese occupato nel 1979.

Mosca di conferenze ne ha già organizzate altre due ma questa è una cosa seria: ci sono tutti, dall’Iran alla Cina, dall’India al Pakistan passando per le cinque repubbliche dell’ex Urss in Asia centrale. E c’è naturalmente Kabul che, pur se sostiene Washington e la sua politica, ha accettato di buon grado alcune iniziative di sostegno da parte russa.

Questa parte del mondo sembra dunque tornare a essere, come ai tempi del “Great Game” e della Guerra Fredda, la pedina da giocare tra due giganti.

Se Washington è preoccupata dal ritorno sulla scena dell’Orso russo, Mosca è allarmata dall’accerchiamento sul suo lato sud che gli americani – dopo aver preso il controllo dell’Afghanistan – hanno allargato corteggiando le repubbliche dell’Asia centrale, tradizionali alleate di Mosca.

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