25 aprile. Una liberazione per tutti, ovunque

by Moni Ovadia, il manifesto | 26 Aprile 2017 11:03

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Anno dopo anno lo slogan più ripetuto per la manifestazione del 25 Aprile, festa della Liberazione, è stato «ora e sempre Resistenza». Non è solo e tanto un afflato enfatico per sentirsi parte di un evento a cui la grande maggioranza di chi sfila oggi non partecipò.

Quelle parole hanno un valore ed un peso precisi: impegnano le generazioni a venire a battersi contro ogni oppressione, contro ogni tirannia sotto qualunque cielo essa si manifesti e operi mettendo genti e uomini gli uni contro gli altri. La lotta antifascista fu fenomeno italiano, europeo, ma anche extraeuropeo. La cultura germinata dell’impegno militante ed ideale delle Resistenze ha generato una Weltanschauung da cui è uscita una nuova umanità che ha voluto riconoscersi come integra, titolare di diritti universali per ogni essere umano. La vittoria contro la barbarie nazifascista ha fatto fiorire alcune scritture sacrali pur nella loro originaria laicità. Fra queste ci sono la Costituzione della Repubblica Italiana e la Carta dei diritti universali dell’Uomo.

MA A DISPETTO DI QUESTO immenso patrimonio che delinea un mondo di pace e di uguaglianza, vi sono importanti movimenti che profondono intense energie per restituire legittimità alle ideologie dell’odio, del razzismo, della xenofobia, magari con il pretesto di tributare onore a combattenti caduti in guerra, spesso sotto la compiaciuta indifferenza di istituzioni ed autorità di paesi che si vogliono orgogliosamente democratici. La giustificazione a tale invereconda ipocrisia sarebbe che i morti sono uguali. I morti caduti per servizio nel portare guerre, stermìni, deportazioni, schiavismo, secondo questi becchini sarebbero uguali ai caduti per la libertà. Ma non sono solo i nostalgici o i cultori dei fascismi a cercare di corrompere il senso autentico dell’antifascismo, negli ultimi lustri ci si sono messi revisionismi a vario titolo che senza avere il coraggio di negare i fondamenti della Resistenza hanno fatto di tutto per infangarne memoria e magistero. Ma negli anni più recenti un nuovo fenomeno sta mettendo a rischio il valore integro dell’antifascismo e del suo ammaestramento. Alcuni esponenti della sinistra moderata, in occasione dell’ultimo referendum per la riforma Renzi-Boschi della Costituzione sostenitori del sì, hanno rivendicato di essere gli autentici eredi dei partigiani e hanno accusato i sostenitori del no (segnatamente l’Anpi) di avere pervertito l’eredità dei partigiani veri (sic!). Lo stesso a loro modo hanno fatto esponenti istituzionali delle comunità ebraiche, in particolare quella romana, rifiutandosi di partecipare alla sfilata ufficiale di cui dovrebbero fare parte per definizione, rivolgendo a chi permette ad esponenti del popolo palestinese di partecipare alla manifestazione del 25 Aprile con la propria bandiera di tradire l’autenticità della giornata della Liberazione.

AFFERMANDO CHE quella bandiera richiama il Gran Muftì di Gerusalemme che fu in carica per un breve periodo nel tempo della II guerra mondiale e che era filonazista (Una provocazione. Magari tacendo il legame profondo e ben più recente tra Stato d’Israele e il regime razzista dell’apartheid in Sudafrica). I dirigenti del Pd romano quest’anno, sospettiamo per ritorsione al no dell’Anpi in occasione del Referendum costituzionale, hanno scelto di aderire alla protesta dei leader comunitari degli ebrei romani. Con tale decisione il Pd romano ratifica il giudizio che i rappresentanti del popolo palestinese siano solo gli «eredi» del Gran Muftì filonazista di Gerusalemme di 80 anni fa e non i figli di un popolo oppresso che vive sotto occupazione militare da 50 anni.

IO CHE CREDO profondamente alle parole «ora e sempre Resistenza», nell’intento di fare rinsavire Matteo Orfini e i suoi mi servirò delle parole pronunciate all’assemblea delle Nazioni Unite il 16 ottobre 2016 da Hagai El-Ad, direttore esecutivo del gruppo israeliano per i diritti umani Bet’Tselem:

«Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché sono israeliano. Non ho un altro Paese. Non ho un’altra cittadinanza né un altro futuro. Sono nato e cresciuto qui e qui sarò sepolto: mi sta a cuore il destino di questo luogo, il destino del suo popolo e il suo destino politico, che è anche il mio. E alla luce di tutti questi legami, l’occupazione è un disastro. (…)Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché i miei colleghi di B’Tselem ed io, dopo così tanti anni di lavoro, siamo arrivati ad una serie di conclusioni. Eccone una: la situazione non cambierà se il mondo non interviene. Sospetto che anche il nostro arrogante governo lo sappia, per cui è impegnato a seminare la paura contro un simile intervento. (…) Non ci sono possibilità che la società israeliana, di sua spontanea volontà e senza alcun aiuto, metta fine all’incubo. Troppi meccanismi nascondono la violenza che mettiamo in atto per controllare i palestinesi. (…) Non capisco cosa il governo voglia che facciano i palestinesi. Abbiamo dominato la loro vita per circa 50 anni, abbiamo fatto a pezzi la loro terra. Noi esercitiamo il potere militare e burocratico con grande successo e stiamo bene con noi stessi e con il mondo. Cosa dovrebbero fare i palestinesi? Se osano fare manifestazioni, è terrorismo di massa. Se chiedono sanzioni, è terrorismo economico. Se usano mezzi legali, è terrorismo giudiziario. Se si rivolgono alle Nazioni Unite, è terrorismo diplomatico. Risulta che qualunque cosa faccia un palestinese, a parte alzarsi la mattina e dire “Grazie, Raiss” – “Grazie, padrone” – è terrorismo. Cosa vuole il governo, una lettera di resa o che i palestinesi spariscano? Non possono sparire».

È VERO, i palestinesi non possono sparire e hanno la piena titolarità per rivendicare i loro diritti, ovunque. E la loro liberazione ci riguarda.

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