La Corea del Nord reclica a Trump: «Risposta sarà spietata»

La Corea del Nord reclica a Trump: «Risposta sarà spietata»

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Mentre leggete queste righe in Corea del Nord saranno già iniziati da alcune ore i festeggiamenti per il 105esimo anniversario della nascita di Kim Il-sung, Eterno Presidente, padre della patria e nonno dell’attuale leader nordcoreano Kim Jong-un.

Oggi, 15 aprile, è il «Giorno del Sole», la principale festività del calendario nordcoreano, coperta da decine di giornalisti stranieri invitati a nord del 38esimo parallelo per narrare, parole di Pyongyang, «un grande evento».

Il timore che all’annunciata parata militare tra le strade della capitale si possa aggiungere un test nucleare – corroborato dall’analisi di immagini satellitari da parte degli esperti del portale 38 north, che registrano un’attività inusuale a Punggye-ri, nel nordest del paese, dove si sono tenuti quattro test nucleari negli ultimi dieci anni – ha angosciato le cancellerie di mezzo mondo, in coincidenza con uno scambio di provocazioni tra Pyongyang e Washington mai così serrato nella storia recente.

Solo nella giornata di ieri, mentre l’«armada» statunitense capitanata dalla portaerei USS Carl Vinson si avvicinava alle coste coreane, attraverso un comunicato affidato all’agenzia di stampa nordcoreana Kcna l’esercito nordcoreano si è detto pronto a rispondere «senza pietà» alla provocazione degli Stati uniti: «La nostra più dura contromossa ai danni degli Stati uniti e dei loro vassalli sarà sferrata in maniera così spietata da non permettere a nessun aggressore di sopravvivere».

La concatenazione di eventi capace di far degenerare la situazione in Asia Orientale potrebbe essere questa: Pyongyang porta avanti un test nucleare, Trump – in una settimana in cui ha mostrato gli inquietanti muscoli dell’arsenale militare prima in Siria e poi in Afghanistan – risponde con un attacco contro la Corea del Nord, che a sua volta porterebbe lo scontro a livello termo-nucleare contro invasori americani e Corea del Sud (per cominciare).

Una prospettiva che ha molto di terrorismo mediatico e che se non sembra angosciare più di tanto né la popolazione nordcoreana (convinta che se sarà guerra, la vittoria sarà la loro in quanto «paese più forte del mondo») né quella sudcoreana (impegnata oggi nella celebrazione della «festa dei single») ma che ha comunque già spinto tutti i candidati alla presidenza sudcoreana ad appellarsi a Washington, auspicando più cautela per evitare un conflitto che metterebbe a repentaglio soprattutto la vita dei milioni di abitanti entro i confini della Corea del Sud.

Il prossimo 9 maggio in Corea del Sud si terranno le elezioni presidenziali per nominare un nuovo capo di Stato, dopo l’impeachment che portò alla caduta della presidentessa Park Geun-hye.

All’appello dei candidati presidente sudcoreani si è aggiunto l’ennesimo sforzo diplomatico della Cina, da giorni impegnata a cercare di interrompere il circolo vizioso di provocazioni tra Corea del Nord e Stati uniti ribadendo che l’unica strada da percorrere per risolvere il «problema nordcoreano» rimane il dialogo.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in una conferenza stampa a Pechino alla presenza del suo omologo francese Jean-Marc Ayrault, ha dichiarato: «Ultimamente la tensione è salita e si ha la sensazione che un conflitto potrebbe esplodere da un momento all’altro. Se ci dovesse essere una guerra, il risultato sarebbe una situazione in cui perderebbero tutti, non ci sarebbe nessun vincitore».

E chiunque provocherà lo scontro «dovrà assumersene la responsabilità storica e pagarne il prezzo corrispondente».

Gli Stati uniti hanno però confermato che per «contenere» le aspirazioni nucleari di Kim Jong-un ci sono già diverse opzioni militari sul tavolo e che saranno discusse nei dettagli da domani, quando il vicepresidente Mike Pence inizierà un piccolo tour asiatico fissato già da tempo, visitando prima la Corea del Sud e poi il Giappone. Per Washington, i principali alleati in Asia Orientale; per Pyongyang, paesi nemici «vassalli» degli Stati uniti.

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